Recensione dello spettacolo La Tragedia del vendicatore di Thomas Middleton per la regia di Declan Donnellan, versione italiana a cura di Stefano Massini, andato in scena al teatro Argentina dal 23 gennaio al 3 febbraio 2019
“(…) forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore! (…)
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio di amore, non ne avrebbe che dispregio”.
(Cantico dei Cantici 8:6-7)
“Ahi Ahi Ahi Ahi l’amore è forte come la morte” il brano di Gianluca Misiti, un allegro swing, apre e chiude “La Tragedia del Vendicatore”, in netto contrasto con i toni cupi e pulp dello spettacolo, quasi fosse un’ancora dalla quale calarsi e risalire per un viaggio nella parte più oscura, violenta e irrazionale dell’animo umano. Lo swing ci ricorda che siamo il pubblico di uno spettacolo e che in fondo ci stiamo divertendo o per meglio dire, in questo caso, divergendo.
Declan Donnellan è rimasto fedele nella trama alla tragedia di Thomas Middleton, contemporaneo di Shakespeare, aveva collaborato con il Bardo alla sceneggiatura di diverse opere.
“La Tragedia del vendicatore” pubblicata nel 1606 in epoca giacobita, mette in scena una società corrotta in cui dominano il crimine, la sopraffazione, la lussuria e la brama di potere. I fatti si svolgono in una non precisata corte italiana, un paese cattolico e quindi corrotto e immorale agli occhi dei protestanti, un altrove abitato da uomini dal temperamento passionale. Tale ambientazione metteva Middleton al riparo dalla censura permettendogli, tuttavia, di descrivere lo stato dei fatti in una Londra che precipiterà verso la guerra civile tempo dopo. I personaggi portano i nomi dei vizi e delle virtù incarnate come nella tradizione del “morality play”: Lussurioso, Castizia, Vindice, Ambitioso ecc…
Tutta l’azione è un complesso di intrighi, scambi ed equivoci che ruotano attorno al protagonista principale Vindice (Fausto Cabra), desideroso di vendicare la morte della sua amata Gloriana per mano del lascivo Duca (Massimiliano Speziani), in un crescendo ossessivo, il vendicatore si compiacerà di torturare e uccidere le sue vittime rivelando le proprie intenzioni durante la loro agonia e sterminando tutta la famiglia ducale. Il tema dominante è quello della forza corruttrice della vendetta che infine non lascia vivo nessuno, nemmeno Vindice e suo fratello Ippolito (Raffaele Esposito).
Al di là del complesso nucleo narrativo, dei parallelismi tra società antica e moderna, della morale sull’aberrazione che coglie un uomo trasfigurato dai propri sentimenti di vendetta (da amante ad assassino), ciò che resta davvero dello spettacolo di Donnellan è un forte impatto emotivo, la tensione e l’orrore tra il pubblico sono stati palpabili, qualcuno si è perfino coperto gli occhi. È straordinario notare come si sia riusciti ad ottenere un certo impatto emotivo tra gli spettatori grazie alla sola recitazione e alla scenografia, senza l’ausilio di nessun effetto speciale particolare. Fantastici interpreti sono stati tutti gli attori in scena che hanno reso possibile un tale risultato grazie ad una recitazione che si potrebbe definire “carnale”.
In un periodo storico in cui il pubblico è assuefatto ai grandi effetti speciali del cinema, la platea ha potuto sperimentare quello che il pubblico del 1600 doveva provare dinanzi a certe rappresentazioni teatrali. Va ricordato, infatti, che i drammaturghi dell’epoca erano soliti mettere in scena frequentemente la corruzione spirituale e la violenza fisica per rendere l’idea dell’ orrore a cui può giungere un animo passionale vessato da soprusi e ingiustizie.
I personaggi di Donnellan sono corrotti uomini di potere in giacca e cravatta e madri degeneri pronte ad offrire “vergini al Drago”. I costumi di scena sono tutti contemporanei, in particolare il completo giacca e cravatta nero di Ippolito sembra ricordare “Le iene” di Tarantino, d’altra parte l’ispirazione pulp è evidente.
La scenografia è caratterizzata da enormi portelloni rossi scorrevoli che ricordano quelli di certi magazzini portuali in cui possono avvenire i peggiori crimini a riparo da occhi indiscreti così come abbiamo visto in certi film. I portelloni si aprono e chiudono di volta in volta lasciandosi attraversare dagli attori e mostrandoci diversi sfondi su cui campeggiano a turno opere di Tiziano, Mantegna e Piero della Francesca, che ci rimandano al contesto storico originario della pièce. L’effetto apportato dai portelloni è importante in quanto mima e stimola il processo di immaginazione a livello mentale quasi come fosse un percorso onirico dal quale emergano a sorpresa immagini significanti e significative.
Per riuscire ad entrare nel mood di questa tragedia abbiamo bisogno di perdere per un attimo la nostra lucidità e ricordarci quali pensieri ci attraversano la mente quando siamo testimoni diretti o indiretti di gratuite ed efferate violenze ai danni di innocenti, quali frasi d’odio e quali macabre fantasie ci attraversano la mente? Per chi dovesse trovarsi in un tale stato d’animo, lo spettacolo potrebbe essere catartico se non esorcizzante!
Anna Valentina Pappacena
6 febbraio 2019
informazioni
LA TRAGEDIA DEL VENDICATORE
di Thomas Middleton
drammaturgia e regia Declan Donnellan
versione italiana Stefano Massini
scene e costumi Nick Ormerod
luci Judith Greenwood, Claudio De Pace
musiche originali Gianluca Misiti
con Ivan Alovisio, Alessandro Bandini, Marco Brinzi, Fausto Cabra, Martin Ilunga Chishimba, Christian Di Filippo, Raffaele Esposito, Ruggero Franceschini, Pia Lanciotti, Errico Liguori, Marta Malvestiti, David Meden, Massimiliano Speziani, Beatrice Vecchione
regista assistente Francesco Bianchi
collaboratore movimenti di scena Alessio Romano
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa | ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione
Proiezione immagini storiche con licenza di Foto Scala Firenze
Il brano “Ahi Ahi Ahi” di G. Misiti/R. Misiti è cantato da Raffaella Misiti