Recensione dello spettacolo Villa Dolorosa tre compleanni falliti in scena al Teatro Vascello dal 5 al 13 ottobre 2015
Una villa, tre sorelle, Olga Mascha e Irina, e il fratello artista Andrej, che con i rispettivi nomi cercano di evocare la memoria degli omonimi personaggi cechoviani appartenenti a una nota famiglia facoltosa ma in declino.
Questi sono i protagonisti della rilettura in chiave moderna di “Tre sorelle” ad opera di Rebekka Kricheldorf in scena al Teatro Vascello per la regia di Roberto Rustioni.
Il pubblico in attesa che cominci lo spettacolo può già prefigurarsi, dalla scenografia allestita, l'ambientazione familiare in cui si muoveranno gli attori: un divano occupa la parte centrale del palco ed ai suoi lati l'arredamento sembra essere del tutto simile a quello di un soggiorno con un tavolo e sopra delle bottiglie ben esposte. In ultimo non possono sfuggire all'attenzione delle cornici vuote appese senza un particolare criterio sul fondo.
Si sta festeggiando il compleanno di Irina, la seconda delle tre sorelle, che nel primo atto della pièce compie 28 anni, quindi una donna abbastanza adulta che insieme alle altre due non fa che raccontarci il proprio modo di essere donna.
In realtà è questo che Cechov per primo si limitò a fare, narrare ciò che vedeva, per quanto potesse con occhio critico apparire deprimente e angosciante, perché ciascuno di questi personaggi riflette una parte dell'essere umano che meschinamente e quasi sempre è la parte peggiore di ognuno di noi.
Lontano da una critica di stampo politico o sociale si assiste alla rappresentazione di una realtà che viene scelta non perché gli animi siano esattamente i medesimi dell'epoca in cui l'opera fu scritta la prima volta ma probabilmente perché le domande e le riflessioni nate al verificarsi di certi episodi topici di quel percorso che è la vita di un uomo e di una donna, si ripetono in maniera analoga e sorprendente soprattutto per la banalità del modo in cui si verificano le conseguenze di una determinata azione.
Infatti le tre sorelle ci mostrano il lato assai inconcludente del percorso di vita a cui sono giunte; chi perché apparentemente più solida, data la sua posizione d'insegnante, sprezzante di tutto ciò che è sintomo di inciviltà, ma priva di qualsiasi tipo di pathos, chi perché ha preferito una struttura solida come quella del matrimonio ma con un professore a cui manca la capacità di mantenere vivo il sentimento che l'aveva fatta innamorare e chi vive in un mondo allegorico e legato alle letture di un'infanzia assai illusoria in cui le favole di grandi menti non fanno che soddisfare la sua sete di azione. Non dimentichiamo poi il grande mancato artista, il fratello Andrej che giunge al bivio del grande salto artistico con moglie e prole a “discapito”.
Il quadro scenico è ben rappresentato dagli attori della compagnia Officine K che grazie anche alla regia di Roberto Rustioni, già avviato nella messinscena cechoviana dati i suoi precedenti lavori, e dalla natura esperta e poliedrica delle sue interpretazioni non può che vincere l'attenzione di un pubblico, spesso poco presente su diversi piani.
La chiave di lettura per cui si opta esime dal far critiche al confronto con la sua fonte d'ispirazione perché appare chiaro già dai costumi indossati dagli stessi personaggi che ad essere messo in gioco qui è una parte della società, che oggi è spesso sotto gli occhi di tutti e che tragicamente sembra impossessarsi di quello che un tempo erano gli eroi e le eroine della letteratura contemporanea.
Con la nostalgia di un'epoca, così rivediamo quella attuale e pensiamo che purtroppo sembra “Niente” al suo confronto.
Silvia Doria
12 ottobre 2015