‹‹…purchè ci sia da ricavarne qualcosa… ››
Farsesco e grottesco il mondo di Moliere, il quale con le sue “macchiette” sui vizi e le debolezze dell’umana specie, incarnati alla perfezione dai personaggi e i protagonisti delle sue opere, risulta, a secoli di distanza, ancora contemporaneo e quanto mai specchio in cui poter, ahinoi, riflettersi e sul quale, fortunatamente, riflettere: potere di un genio letterario che attraverso la commedia, protesa verso un’innata naturalezza realistica, perdura nella storia e scandaglia tutt’ora psiche e animo della società attuale.
A riadattare un classico divenuto arte sublime di satira che tante illustre menti ha ispirato - da Goldoni a Fo, passando per Čechov – ci ha pensato, presso il Teatro Vittoria, l’attore Lello Arena, regalando al testo un riadattamento in chiave sicuramente più comica. L’interpretazione d’Arpagone, il protagonista, è resa in tutto il suo vizio, tanto da giungere delle volte ai margini del paradossale, quasi a voler rappresentare tutte le sfumature possibili ed immaginabili dell’avarizia. Essa, vivendo di luce propria e relegando, in una sorta di escalation dell’assurdo, il personaggio in un cono d’ombra – ogni sentimento, ogni parvenza di umanità è infatti accantonata per lasciar posto alla sola ingordigia di ricchezze - , prende il sopravvento e si fa paladina e morale stessa di un contro-insegnamento che dall’immoralità a tratti meschina, trae il suo vero senso d’essere.
Note e appunti di plauso anche e soprattutto alla compagnia che ha affiancato il capocomico napoletano: ottimi a spalleggiarlo e a seguirlo nelle sue immancabili improvvisazioni, condite dalle solite arguzie linguistiche dal carattere partenopeo.
Particolari ed apprezzabili, infine, i costumi e la scenografia ideata dal regista Claudio Di Palma: un museo di teche di vetro le quali conservano, al loro interno, un assortimento variopinto e diversificato di sedie appartenenti a varie epoche; sedie e troni che, impersonificazione dell’avarizia, attraversano la dimensione temporale, viaggiando dal ‘600 sino ad oggi assurgendosi ad emblema di un potere congelato nei secoli e che perdura nella prigione di schemi e depressione nei quali è imprigionata la psiche di ogni Arpagone passato e presente.
Cirillo Federico
20 maggio 2014