Recensione dello spettacolo La cucina in scena al Teatro Eliseo dal 2 al 20 maggio 2018
Era giovanissimo, Arnold Wesker, quando scrisse La cucina: figlio di immigrati, costretto dal bisogno a lavoretti di ogni tipo, tradurrà la sua esperienza nel campo della ristorazione in questo suo primo capolavoro che riesce a essere affresco storico del periodo – è il 1957 – ma anche paradigma universale dell’esistenza di oggi e di domani. La cucina di un grande ristorante e tutti i marchingegni, non solo utensili ma soprattutto umani, che ne permettono il funzionamento a pieno ritmo sono efficace e impressionante metafora delle dinamiche di potere, dello scontro culturale, dei rapporti interpersonali e della desolazione a cui ci si espone quando si diventa anello di una catena di montaggio che non ammette interruzioni.
L’ottimo adattamento italiano di Alessandra Serra, in scena al Teatro Eliseo con la sapiente regia di Valerio Binasco, colpisce già prima che lo spettacolo inizi: chiunque entri in sala non può non rimanere affascinato dalla gigantesca cucina che gli si staglia di fronte ed è pronta per essere utilizzata. Niente sipario, niente trucchetti, niente suggestioni platealmente indotte: enorme, vagamente decadente, l’ambiente è in attesa che i suoi ingranaggi di carne e ossa facciano la loro comparsa per mettersi inesorabilmente in funzione. Arriveranno: da tutto il mondo, con ogni dialetto e nelle varie rispettive funzioni. Nulla di ciò che è accaduto il giorno prima, o sarà di essi il giorno dopo, dovrebbe interferire con lo spietato meccanismo che permette a un ristorante di far uscire i piatti con un determinato standard e nel giusto ordine. Ma naturalmente così non è: rivalità, gelosie, ingenuità, cinismo, vicende private, traumi inconfessati e ferite esibite si mescolano a pentole e posate. A preparare e condire un cibo che, di fatto, non vediamo mai.
La pletora di attori schierati ha la responsabilità di portare a termine un’opera cadenzata da un ritmo inesorabile a cui devono assolutamente corrispondere entrate, uscite, movenze e interazioni perfette: ed è un piacere vedere come Francesca Agostini, Emmanuele Aita, Antonio Bannò, Massimo Cagnina, Giuseppe De Domenico, Lucio De Francesco, Giulio Della Monica, Andrea Di Casa, Noemi Esposito, Giordana Faggiano, Isabella Giacobbe, Elena Gigliotti, Martina Limonta, Elisabetta Mazzullo, Giulio Mezza,
Aldo Ottobrino, Duilio Paciello, Nicola Pannelli, Alexander Perotto, Alessandro Pizzuto Franco Ravera, Kabir Tavani, Aleph Viola, Ivan Zerbinati riescano con il loro talento a non perdere una sola battuta, supportarsi l’un l’altro, risultare potenti e credibili a prescindere dall’importanza del ruolo assegnato. Tanto da rischiare di sottrarre attenzione alla momentanea vicenda principale per continuare a seguire quel personaggio finora alla ribalta mentre torna ad occupare il suo posto, tra gli altri o in un cantuccio, nel feroce scenario della cucina. Esistenze sprecate, ultimi sussulti d’orgoglio, squallido servilismo, amori cannibali, ideali giovanili che presto avvizziranno ma anche tenera devozione, inaspettate gentilezze, passioni che nascono e crescono nonostante tutto sono gli ingredienti di queste vite che sembra non sappiano dove altro andare, e per questo commuovono, bloccate come paiono in un microcosmo che le condanna e protegge.
La grandiosa scenografia firmata da Guido Fiorato e i bei costumi di Sandra Cardini contribuiscono in modo determinante a rendere ancora più autentico questo zoo entro cui si dispiegano tipi e storie che ci riguardano tutti. Meritano, inoltre, una menzione particolare la sanguigna interpretazione di Aldo Ottobrino, la commovente prova di Nicola Pannelli, la drammaticamente spassosa resa di Francesca Agostini, il convincente Giulio Della Monica, il sempre ottimo Antonio Bannò, il notevole Giuseppe De Domenico. Infine uno straordinario Aleph Viola che dona anima, corpo e sostanza a una figura ambivalente: sospesa tra tragico e comico, distante da tutti eppure capace di mettere a nudo l’intimo di ognuno attraverso uno scherzo o con un accordo di chitarra. Mentre lui continua a giocare sull’orlo di un precipizio da dove, però, pare sempre poter ancora spiccare il volo.
La cucina finisce così come inizia: naturalmente. Lasciando attori e spettatori sopraffatti per un lungo attimo da ciò che hanno recitato o visto, fino all’ultimo. Come già accaduto durante l’intervallo, non c’è nessun sipario a chiudersi per regalare l’illusione che si tratti di una recita: tantissimi occhi sul palco sono lucidi, la vita lentamente riprende il suo corso. E forse è proprio questo che inquieta.
Cristian Pandolfino
14 maggio 2018