Lunedì, 25 Novembre 2024
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TRAUMNOVELLE, e il sogno continua…

Recensione dello spettacolo TRAUMNOVELLE Doppio Sogno in scena al Teatro Argot Studio dal 3 al 13 maggio 2018

 

Prima di prendere posto in sala, le luci nel foyer del Teatro Argot Studio diventano soffuse. È l’inizio di un sogno. O di un incubo.
In palcoscenico non si ha più cognizione della realtà. È già sera fuori? È ancora pomeriggio, oppure è giorno?
È buio dentro. Un uomo si desta dal suo torpore.

Viene raggiunto dalla moglie che siede con lui sul letto. Discutono. Di tutto quello che è successo la sera prima. Cos’è Albertine, sei gelosa? Ebbene sì, il dottor Fridolin è stato corteggiato ed ha corteggiato a sua volte due giovani ragazze durante il ballo in maschera a cui hanno preso parte la sera prima; eh… ma Albertine non è da meno… Qualche estate fa in Danimarca, durante una vacanza con lui e la figlioletta, anche lei era stata attratta sessualmente da un ufficiale tedesco e, se solo lui le avesse fatto capire di desiderarla anche per una sola volta, non avrebbe esitato un attimo a mettere in discussione il suo amore per il marito e la figlia.
Da questo momento succedono una serie di avvenimenti che coinvolgeranno Fridolin in «un’ombra di avventura, di libertà e di pericolo», avvenimenti che si svolgeranno tutti nell’arco di una notte. L’incontro con Marianne, figlia di un suo paziente moribondo, la quale gli confesserà il suo amore, l’incontro con una prostituta diciassettenne, poi col suo vecchio compagno di studi Nacthigall che gli farà vivere la più ambigua, eccitante e oscura esperienza della sua vita, e poi ancora una giovane Lolita, misteriose donne nude ad una festa in maschera, uomini potenti e minacciosi… un’unica domanda albeggerà nella mente di Fridolin e dello spettatore: chi sono tutte queste persone? Sono reali? Finti? A cosa si sta assistendo? Un sogno? Un incubo? O… a uno spettacolo?
Può definirsi spettacolo un sogno? E la vita reale, quella concreta, è anch’essa uno spettacolo o il frutto di un progetto di un autore sconosciuto? Perché, a pensarci bene, sono tanti gli sconosciuti che sfiorano e attraversano i binari della nostra esistenza, eventi che accadono senza una ragione precisa e di cui spesso ci si chiede se è tutto un sogno oppure se è vero.
Traumnovelle o Doppio Sogno di Arthur Schnitzler è uno di quei romanzi del Decadentismo che mantiene intatto il suo fascino proprio perché non permette di capire dov’è che finisce la realtà e inizia il sogno (e viceversa). Un romanzo che raccoglie in sé sfumature su sfumature – e in questo Stanley Kubrick nella pellicola del 1999 fu spettacolare nel saperle rappresentare al cinema con la sua tipica tecnica di sfumare le scene e saper bene giocare con l’intreccio del romanzo aggiungendo un suo tocco personale ad ogni singola scena e battute del copione – complesso nel suo genere e difficile da trasporlo sia al cinema che a teatro. Kubrick, col suo Eyes Wide Shut, fu impareggiabile, non da meno è la visione che ci viene offerta a teatro dalla regia di Paolo Sassanelli che ha saputo curare ogni dettaglio, ogni dialogo, ogni singola parola e ogni effetto scenico fatto di luci e ombre.
Le scene, di fatto, si svolgono tutte al buio, l’idea di utilizzare tutto lo spazio disponibile del palcoscenico dell’Argot Studio lasciando che gli spettatori si dispongano a cerchio per assistere allo spettacolo si è rivelata molto efficace e suggestiva. Gli attori fanno il proprio ingresso dal foyer del teatro: quando la porta per entrare in sala si apre, l’ambiente viene invaso da un solo fascio di luce arancione. Nell’immaginario gli attori non sembrano reali, ma demoni (o angeli). Entrando, questa luce “giallognola” li segue salvo essere inghiottiti di nuovo dal buio e tornare alla luce durante l’uscita di scena. I movimenti sono lenti, sulle donne sono languidi, sugli uomini più minacciosi; lo spettatore non ha mai modo di guardare bene in faccia il personaggio che in quel preciso momento sta parlando, eccezion fatta per i volti di Fridolin e Albertine. Le facce degli altri interpreti verranno scoperte solo al calar del sipario (in senso figurato, s’intende, considerata la struttura dell’Argot).
Nonostante questo, lo spettacolo rende tantissimo; bravissimi gli attori, eccellente il disegno luci, i costumi, le musiche e l’utilizzo di un proiettore con immagini in bianco e nero. La curiosità che nasce, oltre che dalla storia, seppur conosciuta soprattutto grazie alla pellicola di Kubrick, era data soprattutto dal fatto di voler scoprire come riuscire a trasporre a teatro un testo così ricco di scene, personaggi e dialoghi. Non è la prima volta infatti che la novella di Arthur Schnitzler viene proposta sul palcoscenico, due anni fa fu la volta di Giancarlo Marinelli che vedeva in scena i volti di Ivana Monti, Caterina Murino e Ruben Rigillo (ottima versione anche quella), ma noi de La Platea abbiamo gradito tantissimo anche questa versione di Sassanelli.
Perché, se appena usciti da teatro, l’impressione è stata quella di non riuscire più a capire se fuori era ancora giorno o era calata la notte, significa forse che, allora, tutto quello a cui ho assistito lo stavo ancora sognando.

 

Costanza Carla Iannacone
8 maggio 2018

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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