Recensione dello spettacolo Il piacere dell’onestà in scena al Teatro Quirino dal 3 al 22 aprile 2018
«È più facile essere un eroe che un gentiluomo. Per essere eroe basta un giorno, gentiluomo devi esserlo tutti i giorni» (Maurizio Setti al Marchese Fabio Colli).
Di uomini onesti se ne trovano pochi, esemplari di rarissima integrità. Sono dei tesori eccezionali, imperdibili, unici e – qualcuno oserebbe dire – anche saggi. Ma la saggezza non va di pari passo con l’educazione, perché “trascende dai suoi convenevoli” (è quanto affermerà Maximilian Nisi alias Maurizio Setti a Tatiana Winteler, alias Maddalena).
Allora che cos’è l’onestà?
Se qualcuno prova o ha mai provato a darle voce da anni (considerato anche il periodo storico che stiamo vivendo) è bene che la riscopra con Il piacere dell’onestà, commedia del 1917 di Luigi Pirandello, ispirata dalla novella Tirocinio. In questo testo l’onestà prende corpo nel personaggio di Angelo Baldovino, ma la cosa più stupefacente e geniale è assistere alla maniera in cui è stata messa su la storia: il drammaturgo siciliano, infatti, utilizza l’inganno per svelarne l’altra faccia della medaglia, l’onestà appunto. E quindi usa il falso per raccontare, mostrare, smascherare la verità (che è propria del mondo e di ogni singolo individuo). Pirandello è solito giocare con la psicologia dei suoi personaggi – siano essi protagonisti dei suoi romanzi, storie o novelle – e ciò gli serve per narrare quello che poi è il suo pensiero, come a dire che tutti gli uomini vivono la propria vita mai fino in fondo, ma esclusivamente da attori, nascondendosi dietro delle maschere camuffando la loro vera natura.
Parlare di onestà (in questa vicenda s'intende), vivere l’onestà ed assistervi in platea a teatro è un’esperienza imbarazzante. E ciò che imbarazza suscita anche una forte emozione. Questo senso di disagio, sentirsi sempre sotto osservazione è rappresentato in maniera grandiosa ed eccellente da Geppy Gleijeses (Angelo Baldovino). Già la sua prima entrata in scena la dice tutta sul personaggio: la gran parte della gente lo considera un fallito, un mediocre, solo un uomo così infimo come lui poteva soggiogarsi ad un inganno come quello architettato dal Marchese Fabio Colli (Leandro Amato). Quest’ultimo, amante di Agata (Vanessa Gravina), dopo averla messa incinta ha pensato bene di darla in sposa a Baldovino per salvaguardarne la rispettabilità e l’onore dato che lui è già ammogliato. L’inganno gli consentirà, tuttavia, di poter continuare a frequentarla; difatti, solo uno come Baldovino può prenderla in moglie disposto, per guadagno, ad accettare ogni bassezza. Invece Baldovino si mostra l’integrità fatta persona, prendendo seriamente la cosa (dirà infatti «Sposerò per finta una donna, ma sul serio io sposo l’onestà») spiazzando tutti, Maddalena (madre di Agata) e Maurizio Setti (cugino del Marchese) compresi. L’ “elemento di disturbo” è costituito proprio da questo personaggio, ciò che disturba è la nota stonata nell’intero contesto fatto di menzogne, artifizi e sotterfugi. Nell’inganno Baldovino tiene d’occhio l’onestà, ha il piglio fermo: appare addirittura disumano (intendendo con ciò un modo di essere al di fuori di quello a cui siamo abituati a vedere e sentire tutti i giorni) tanto è il rigore che mette nel recitare la parte del buon marito; il pubblico – come il resto dei personaggi in scena – ha l’impressione di trovarsi con un pezzo fuori posto, di cui non sa che farsene e/o come “collocarlo”. Eppure Baldovino sa cosa fare, si muove e parla sicuro anche quando il Marchese prova a tendergli una trappola facendolo passare per il ladro della società creata apposta dal Marchese per farlo cascare nel tranello e dargli la giusta liquidazione. Ma Baldovino non cede. È disposto anche a passare per ladro a patto che sia il Marchese a rubare per lui, allora e solo allora sparirà per sempre dalla vita di tutti loro. La sua condotta redimerà un po’ tutti, Agata per prima che, qualora Baldovino non decidesse di voler restare, si dichiarerà disposta a fuggire con lui.
Solo a questo punto “la mostruosa maschera grottesca di Baldovino alla fine diventa un volto rigato dalle lagrime” (cit. Luigi Pirandello, n.d.r.) rendendolo, se possibile, un personaggio ancora più spiazzante ma anche drammaticamente tenero e commovente.
Smascherare la realtà, quanto è radicato il falso, l’impossibilità per un soggetto di essere e vivere per quello che è veramente allo scoperto. È dunque questo quello che vuol mettere in scena Pirandello? Indubbiamente sì, ma c’è dell’altro. Oltre al mistero, al dramma che pervade sempre un individuo – mai in questo caso come Baldovino – in Il piacere dell’onestà c’è di più. L’occhio critico del regista, dell’autore, del pubblico non si sofferma solo sui singoli personaggi, sui loro vizi e difetti, non è solo un andare oltre la maschera, ma è anche sondare l’aspetto piacevole dell’onestà, quanto di buono e positivo rechi questa qualità con sé tanto da essercelo quasi dimenticato. È questo l’imbarazzo, lo spiazzamento che si prova tra le poltrone, accresciuto in particolar modo dalla caricatura che Pirandello offre al personaggio di Baldovino e portata a teatro in maniera, ribadiamo, senza eguali da Geppy Gleijeses, grazie anche al supporto di una Vanessa Gravina in splendida forma che ha saputo reggere la scena in maniera ammirevole.
Un testo che in certi passaggi può apparire ostico da comprendere (la prima scena tra Maddalena e Setti difatti distoglieva un po’ l’attenzione tra gli spettatori in sala) ma che conserva tutta la sua bellezza e il suo splendore nelle fulgide lagrime di Baldovino.
Costanza Carla Iannacone
11 aprile 2018