Recensione dello spettacolo Trainspotting andato in scena al Teatro Brancaccino dal 5 all' 8 aprile 2018
Dopo il colossale successo del romanzo e del film, arriva anche la versione teatrale di Trainspotting, con un non semplice adattamento di Sandro Mabellini. La pièce teatrale, inserita nell’ambito della rassegna di drammaturgia contemporanea Spazio del racconto, non si discosta molto dalla trama dell’omonimo libro di Irvine Welsh del 1993 ripresa fedelmente nel film Trainspotting di Danny Boyle del 1996 che ha fatto scandalo negli anni Novanta. Protagonisti sono 5 ragazzi di Edimburgo, Mark Renton ha scelto per sé "un'onesta e sincera tossicodipendenza" in modo da non doversi preoccupare del lavoro e delle altre responsabilità, Sick Boy, tutto provocazioni e donne, Begbie, inutilmente violento e alcolizzato, Tommy che diventerà tossicodipendente dopo che Lizzi l’ha lasciato ed Alison che pur avendo una bambina non riesce ad uscire dal giro.
Ognuno di loro ha le sue caratteristiche e vive il rapporto con le droghe in maniera differente ma colpisce immediatamente la convinta adesione dei protagonisti al tipo di “non vita” fatta di tossicodipendenza e l’alcool. Rifiutano di lavorare boicottandosi ai colloqui di lavoro, utilizzano il loro sussidio di disoccupazione per comprare droghe e alcool, le relazioni umane sono inesistenti o terribili, ma riconfermano continuamente la loro decisione iniziale: l’eroina! Sembra che iniettandosi questa sostanza stupefacente, trovino una via di fuga ad una società in cui stanno scomodi e che non accettano. Questo atteggiamento consapevole è ben rappresentato dalle parole finali "..scegliete un lavoro, la famiglia, lavatrici, automobili, apriscatole elettrici e un cazzo di televisore col maxischermo. E poi una domenica chiedetevi chi cazzo siete e perché avete scelto di marcire...", riprese fedelmente dal libro e dal film. Alcuni ci hanno visto un’esaltazione dell’uso delle droghe, altri come un attacco alla società contemporanea priva di valori e di punti di riferimento, a cui si preferisce l’eroina.
L’adattamento del testo di Irvin Welsh nella versione di Wajdi Mouwad tradotto da Emanuele Aldovrandi è stata un’impresa titanica per il regista Sandro Mabellini, ma perfettamente riuscita. Il genere di storia narrata a capitoli nel romanzo, in cui la vicenda di ogni personaggio è indipendente dalle altre, risulta più una serie di racconti autonomi che un unico romanzo. Il film invece ha scelto una narrazione unica con un taglio ironico e surreale, ispirandosi alla Kubrick, Scorsese, Almodovar, ai fratelli Coen, mescolando così violenza e situazioni paradossali. La trasposizione teatrale richiedeva scelte registiche non facili, non scontate e non comuni per riproporre lo spirito della storia, ricreare le vicende ma senza alterarne il significato. Complimenti quindi a Sandro Mabellini che ha rappresentato la realtà suburbana di Edimburgo nel ristretto spazio del palcoscenico senza utilizzare alcuna scenografia. I quattro attori sul palco che interpretano più ruoli, sono allo stesso tempo anche le voci fuori campo che danno vita alla scena. In questo modo lo spettatore è dentro la rappresentazione, la vede, la vive, ne sente tutte le sfumature. Da sottolineare anche la scelta di puntare l’attenzione di volta in volta su un diverso personaggio utilizzando un microfono che in realtà proietta luce in faccia al personaggio. Lo spegnersi e l’accendersi delle luci sui microfoni dà ritmo e dinamicità alle scene passando la scena ad una situazione sempre nuova. Eccellente poi il lavoro sui personaggi: ben caratterizzati, mimica e interpretazione magistrale che trascinano nell’abisso di una società in cui la vita con le sue fatiche, le sue responsabilità, i suoi problemi e noi aggiungiamo anche le sue soddisfazioni, non interessa.
Come per il romanzo e il film si conferma il giudizio finale positivo per la regia e l’interpretazione, ma rimane ambiguo il messaggio dell’opera: una celebrazione della fuga dalla realtà attraverso droghe e alcool o una pesante denuncia nei una società che non è più in grado di dare un senso alla vita delle nuove generazioni?
Mena Zarrelli
9 aprile 2018