Recensione di Leonardo da Vinci. L’opera nascosta al Teatro Brancaccino in scena il 24 e il 25 marzo 2018
È con una fiaba su Leonardo che prosegue la rassegna di drammaturgia contemporanea Spazio del racconto, giunta ormai alla terza edizione. Il pluripremiato Michele Santeremo, autore, regista e interprete si esibisce nello spettacolo Leonardo da Vinci. L’opera nascosta. Il titolo farebbe presuppore che lo spettacolo ci voglia parlare di pittura e di opere di Leonardo, in realtà l’arte è trattata solo indirettamente. La pièce vuole parlarci della morte, sì proprio di questo terribile tema su cui l’uomo da sempre si interroga e a cui non riesce a dare una risposta univoca.
Santeremo però sceglie un modalità leggera, divertente e poetica per parlarne. Con una scenografia essenziale fatta solo di una sedia e di un tavolino alle cui spalle scorrono le immagini di pittura astratta dell’attrice e artista Cristina Cardumi, si raccontano episodi fantastici della vita di Leonardo in base ai quali egli cercherebbe in tutti i modi il segreto per capire come avviene il passaggio tra la vita e la morte e da qui inizia a chiedersi come l’uomo potrebbe sottrarsi a questo tremendo momento per consegnarsi all’immortalità. Immortali sono le sue opere, quindi potrebbe aiutarlo a capire la Gioconda, che ad un certo punto si innamora di lui e per questo inizia a trasformarsi e ad invecchiare. Non partecipa dunque più di quello stato di grazia che concerne lo stare fuori dallo spazio e fuori dal tempo? La risposta è chiaramente no. Quindi questa agognata immortalità altro non è che l’assenza di emozioni, di passioni e turbamenti. È anche la perdita della memoria della propria vita e di conseguenza la perdita della propria identità. Si è immortali se non si provano emozioni, si è senza memoria e senza identità quindi. Non piace allora né a Leonardo né agli uomini del suo tempo che avevano cercato questa condizione nel “ paese in cui non si muore mai” dove era possibile non invecchiare e non morire. Se per vivere davvero è necessario morire allora l’immortalità è noiosa e poco interessante.
In una sorta di commistione di genere fatta di reading e recitazione, il nostro autore, attore e regista ci conduce delicatamente in questo racconto in cui si incontra di tutto: la bellezza dell’arte nelle immagini che scorrono in sale accompagnando il racconto, gli interrogativi sul senso della vita e della morte, la poesia e la delicatezza dell’amore della Gioconda, l’ironia delle batture del Cristo dell’Ultima cena. Tanti elementi e tante sfaccettature quindi nel testo ma anche alcune criticità. La lettura a tratti poco interpretativa di Santeremo, se da una parte alleggerisce, dall’altro crea un tono quasi monocorde che spesso distrae lo spettatore in sala. Qualche criticità si ravvisa anche nella struttura del racconto, che pur basato sulla fantasia e sull’invenzione totale, dall’altra presenta delle incongruenze innegabili in alcuni passaggi come nel caso degli esseri che diventano immortali “nel paese in cui non si muore mai” ma continuano a vivere, provare emozioni e ricordare come le persone mortali. Perfettibile quindi il risultato finale.
Mena Zarrelli
29 marzo 2018