Recensione dello spettacolo Sorelle Materassi in scena al Teatro Quirino dal 21 novembre al 3 dicembre 2017
Che si tratti di un successo annunciato lo si intuisce dal fatto che non ci sia una sola poltroncina libera in sala e sicuramente da un paio di nomi: quelli di Lucia Poli e Milena Vukotic in primis. In realtà, basterebbero il titolo dello spettacolo e la firma del suo autore a far decidere, senza troppe esitazioni, di andare a vedere Sorelle Materassi, in scena in questi giorni al Quirino.
Già apprezzato romanzo (1934), film (1944) e sceneggiato televisivo (1972), l’opera di Palazzeschi, nella rivisitazione originale di Ugo Chiti abilmente diretta da Geppy Gleijeses, convince ancora. Poco importa che i fatti narrati risalgano agli inizi del Novecento: la storia di amore, rancore, opportunismo, cinismo e speranza degli inquilini di casa Materassi assomiglia alle storie di molte famiglie di oggi, opportunamente spogliate di quegli elementi che il passare del tempo ha reso anacronistici.
Siamo nell’hinterland fiorentino o meglio nel laboratorio di Teresa (Lucia Poli) e Carolina (Milena Vukotic), due anziane e rinomate sarte, che si guadagnano da vivere cucendo e ricamando corredi per le future spose delle famiglie nobili e altolocate di Firenze.
E proprio attorno a quel tavolo, al centro della scena, si consumano ricordi e qualche pettegolezzo, mentre si rievocano sogni inconfessabili. Almeno fino all’arrivo (im)previsto dell’adorato e vizioso nipote Remo, figlio di una quarta sorella defunta, sempre pronto, con quel fascino alla “Rodolfo Valentino”, a regalare momenti di gioventù perduta alle bigotte zie e a portarle alla rovina.
Completano il pittoresco quadretto due figure contrastanti eppure complementari: da un lato, la vivace Niobe, serva fedele e responsabile consapevole del rapporto squilibrato tra zie e nipote; dall’altro la triste voce della verità Giselda (Marilù Prati), l’unica della famiglia (o forse l’unica a non farne veramente parte?) a non credere sin da subito alla favola della redenzione e dell’affetto disinteressato da parte di Remo.
Contrapposizione che si rafforza sul finale, quando una Giselda ancora una volta delusa dalla vita abbandona il tetto familiare che fino a quel momento aveva amministrato, per lasciarlo nelle mani di Niobe, già pronta a riorganizzare la vita delle due donne (alle quali subito propone un nuovo lavoro e nuove clienti) e a fantasticare, di nuovo, sulle fattezze di Remo.
E così tra capricci, richieste improbabili e falsi ravvedimenti sono già trascorsi 60 minuti di spettacolo, senza che la narrazione abbia perso ritmo e intensità e senza grandi stravolgimenti di scena. Quasi l’intero atto si svolge tra le mura o al massimo nel cortile di casa delle sorelle: l’unico momento in cui si annullano, almeno idealmente, le pareti della villa e la routine di una vita sempre uguale è il fatidico matrimonio di Remo con la ricca ereditiera d’America Peggy (Roberta Lucca). Uno dei momenti più comici (irresistibili le due zie vestite da caste spose) e tragici dell’intera rappresentazione (intenso e commovente il momento in cui le due sorelle si spogliano dell’abito da cerimonia per ritornare rassegnate alla vita di sempre e per di più senza Remo). Ma anche uno dei più significativi, in cui la vera natura dei legami familiari e non si palesa, mentre si inizia a pregustare un finale tristemente noto (eppure mai privo di speranza), in perfetto stile Palazzeschi.
Degne di nota le interpretazioni delle due beniamine del pubblico, la Poli e la Vukotic, a cui si aggiungono meritatamente Sandra Garuglieri nei panni di Niobe e il giovane e brillante Gabriele Anagni nelle vesti di Remo. Incisivo nel suo ruolo, seppure marginale, Gian Luca Mandarini nei panni del contadino Palle.
Concetta Prencipe
28 novembre 2017