Mercoledì, 27 Novembre 2024
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Sorelle Materassi: in scena l’impossibilità del dramma di Palazzeschi

Recensione dello spettacolo Sorelle Materassi in scena al Teatro Quirino dal 21 novembre al 3 dicembre 2017

 

Che si tratti di un successo annunciato lo si intuisce dal fatto che non ci sia una sola poltroncina libera in sala e sicuramente da un paio di nomi: quelli di Lucia Poli e Milena Vukotic in primis. In realtà, basterebbero il titolo dello spettacolo e la firma del suo autore a far decidere, senza troppe esitazioni, di andare a vedere Sorelle Materassi, in scena in questi giorni al Quirino.

Già apprezzato romanzo (1934), film (1944) e sceneggiato televisivo (1972), l’opera di Palazzeschi, nella rivisitazione originale di Ugo Chiti abilmente diretta da Geppy Gleijeses, convince ancora. Poco importa che i fatti narrati risalgano agli inizi del Novecento: la storia di amore, rancore, opportunismo, cinismo e speranza degli inquilini di casa Materassi assomiglia alle storie di molte famiglie di oggi, opportunamente spogliate di quegli elementi che il passare del tempo ha reso anacronistici.

Siamo nell’hinterland fiorentino o meglio nel laboratorio di Teresa (Lucia Poli) e Carolina (Milena Vukotic), due anziane e rinomate sarte, che si guadagnano da vivere cucendo e ricamando corredi per le future spose delle famiglie nobili e altolocate di Firenze.

E proprio attorno a quel tavolo, al centro della scena, si consumano ricordi e qualche pettegolezzo, mentre si rievocano sogni inconfessabili. Almeno fino all’arrivo (im)previsto dell’adorato e vizioso nipote Remo, figlio di una quarta sorella defunta, sempre pronto, con quel fascino alla “Rodolfo Valentino”, a regalare momenti di gioventù perduta alle bigotte zie e a portarle alla rovina.

Completano il pittoresco quadretto due figure contrastanti eppure complementari: da un lato, la vivace Niobe, serva fedele e responsabile consapevole del rapporto squilibrato tra zie e nipote; dall’altro la triste voce della verità Giselda (Marilù Prati), l’unica della famiglia (o forse l’unica a non farne veramente parte?) a non credere sin da subito alla favola della redenzione e dell’affetto disinteressato da parte di Remo.

Contrapposizione che si rafforza sul finale, quando una Giselda ancora una volta delusa dalla vita abbandona il tetto familiare che fino a quel momento aveva amministrato, per lasciarlo nelle mani di Niobe, già pronta a riorganizzare la vita delle due donne (alle quali subito propone un nuovo lavoro e nuove clienti) e a fantasticare, di nuovo, sulle fattezze di Remo.

E così tra capricci, richieste improbabili e falsi ravvedimenti sono già trascorsi 60 minuti di spettacolo, senza che la narrazione abbia perso ritmo e intensità e senza grandi stravolgimenti di scena. Quasi l’intero atto si svolge tra le mura o al massimo nel cortile di casa delle sorelle: l’unico momento in cui si annullano, almeno idealmente, le pareti della villa e la routine di una vita sempre uguale è il fatidico matrimonio di Remo con la ricca ereditiera d’America Peggy (Roberta Lucca). Uno dei momenti più comici (irresistibili le due zie vestite da caste spose) e tragici dell’intera rappresentazione (intenso e commovente il momento in cui le due sorelle si spogliano dell’abito da cerimonia per ritornare rassegnate alla vita di sempre e per di più senza Remo). Ma anche uno dei più significativi, in cui la vera natura dei legami familiari e non si palesa, mentre si inizia a pregustare un finale tristemente noto (eppure mai privo di speranza), in perfetto stile Palazzeschi.

Degne di nota le interpretazioni delle due beniamine del pubblico, la Poli e la Vukotic, a cui si aggiungono meritatamente Sandra Garuglieri nei panni di Niobe e il giovane e brillante Gabriele Anagni nelle vesti di Remo. Incisivo nel suo ruolo, seppure marginale, Gian Luca Mandarini nei panni del contadino Palle.

 

 

Concetta Prencipe

28 novembre 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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