Sabato, 23 Novembre 2024
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TREND nuove frontiere della scena britannica – XX edizione - al teatro Belli di Roma dal 22 ottobre al 20 dicembre 2021

Le maggiori tragedie globali che incombono su di noi sono quelle climatiche e pandemiche, e da parte sua il teatro è sempre più in grado di monitorare fenomeni di ieri e di oggi altrimenti declinati come le instabilità relazionali, le oscillazioni economiche, i bipolarismi caratteriali, le virtualità manipolatrici, fino a trarre maggiori contenuti dalle disforie di genere e dalle culture seriali. Ce ne rendiamo conto con i quattordici testi scelti per la XX edizione di “Trend. Nuove frontiere della scena britannica”. Le variabili che influiranno sulle nostre società rispondono anche a un quadro di netti mutamenti umani, tecnologici, di sistema. Gli scarti tra normodotati e fluttuanti vanno diffondendosi a vantaggio di una ininfluenza binaria, etica, anatomica. Scorrendo il programma, l’allergia ai canoni e ai controlli si fa spazio nelle sinossi di “Girl in the Machine” di Stef Smith, “Beyond Caring” di Alexander Zeldin, “A Number” di Caryl Churchill, “Playing Sandwiches” di Alan Bennett.

Drammaturgie fondate su indeterminazioni o varianti identitarie sono quelle di “Play House” di Martin Crimp, “Love and Understanding” di Joe Penhall, “Snowflake” di Mike Bartlett, “Stitching” di Anthony Neilson, “Three Kings” di Stephen Beresford, “Chef” di Sabrina Mahfouz, “Coriolanus Vanishes” di David Leddy, “Tarantula” di Philip Ridley. Approfondimenti non convenzionali e nuovi approcci al maschile e al femminile li intercettiamo in “Scenes with Girls” di Miriam Battye, in “God’s New Frock” di Jo Clifford. Risolutivo è il sostegno che nel frattempo continua a giungere a Trend dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio, e dal Comune di Roma. I lavori inglesi sono quest’anno affidati a Giacomo Bisordi, Alessandro Federico, Arturo Cirillo, Massimo Di Michele, Luca Mazzone, Maurizio M. Pepe, Serena Sinigaglia, Francesco Bonomo, Carlo Emilio Lerici, Martina Glenda, Mauro Lamanna, Stefano Patti, Francesco Montanari.

 

                                                                                                              rodolfo di giammarco

 

 

 redazione

15 ottobre 2021

 

 programmazione

 

dal 22 al 24 ottobre ore 21

BEYOND CARING

di Alexander Zeldin

reading a cura di Giacomo Bisordi

traduzione Serenella Martufi

produzione Teatro Vascello

Autore e regista britannico, classe 1985, Alexander Zeldin si è fatto conoscere sui palcoscenici di tutt’Europa con la trilogia The Inequalities – traduzione grossolana: le disuguaglianze – costituita da Beyond Caring, Love e Faith, Hope and Charity. Al centro del suo lavoro e delle sue drammaturgie che lo hanno portato ad essere talvolta definito, semplificando brutalmente, il Ken Loach del teatro britannico, abbiamo sempre spaccati della realtà messi al riparo da ogni intento illustrativo. In Beyond Caring, il suo primo testo, un gruppo di donne delle pulizie si incontra in uno dei tanti turni di lavoro in una fabbrica di lavorazione della carne. Sono tutte titolari di quelli che nel Regno Unito sono definiti Zero Hour contracts: contratti di 14 giorni in cui il datore di lavoro ha il diritto di impiegare un dipendente per un numero di ore non stabilito in partenza e senza un minimo di lavoro garantito. Per i sindacati inglesi, questa forma di lavoro è la più prossima allo sfruttamento legalizzato. In questo reading, Beyond Caring viene per la prima volta presentato al pubblico italiano e diretto non da Zeldin stesso. L’insicurezza, la precarietà e la mancanza di prospettiva sono alla radice di questa storia che ambisce, anche solo per un momento limitato, nelle parole del suo autore, “a rendere possibile l’incontro tra un essere umano ed un altro.”

 

 

 

dal 25 al 27 ottobre ore 21

STITCHING

di Anthony Neilson

regia Alessandro Federico

con Valentina Virando e Alessandro Federico

disegno luci Davide Rigodanza

traduzione Pino Tierno e Pietro Bontempo

produzione Proprietà Commutativa

 

Cosa siamo disposti a fare per riparare qualcosa che si è rotto? Quali limiti decidiamo di oltrepassare?

Dentro una casa che sembra una scatola da cui è difficile uscire, dietro una fila di bicchieri e di bottiglie vuote, vediamo Abby e Stu, come attraverso un vetro, in un modo un po’ distorto, dissonante come la loro labile vita che nonostante numerosi, ridicoli, disperati tentativi, non si riesce ad aggiustare.

Il montaggio dello spettacolo non segue un tempo lineare, ma accavalla e modifica i ricordi.

11 pezzi di un’esistenza che supplica di essere messa in ordine, con una crudezza disarmante e un’ironia dissacrante. I due protagonisti passano attraverso ruoli lontani e rapporti crudeli, tanto che lo spettatore sarà costretto a chiedersi, e poi a scoprire, il vero motivo di questo continuo gioco al massacro, fino alla rivelazione finale che ribalterà la visione degli accadimenti. Uno strappo. Un tentativo e un desiderio folle di ricucire, di ricucirsi, di ricominciare. Uno squarcio che ci porta violentemente dentro le dinamiche più autentiche e feroci che si consumano all’interno della coppia.

Dove inizia l’amore, finisce la libertà?

 

 

 

 

dal 29 al 31 ottobre ore 21

PLAYING SANDWICHES (IL GIOCO DEL PANINO)

di Alan Bennett
interpretazione e regia Arturo Cirillo
scena Dario Gessati, costumi Stafania Cempini, luci Mauro Marasà

direttore tecnico allestimento Roberto Bivona, tecnico Jacopo Pace

amministratore compagnia Serena Martarelli

assistente scenografa Mariam Zamiri, direttore di produzione Marta Morico

distribuzione, produzione  Alessandro Gaggiotti

assistente di produzione Claudia Meloncelli

amministrazione produzione Katya Badaloni, contabilità Laura Fabbietti

responsabile comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo

grafica Fabio Leone, foto di scena Giulia Di Vitantonio

traduzione Mariagrazia Gini
produzione MARCHE TEATRO
in accordo con Arcadia & Ricono Srl, per gentile concessione di United Agents LLP

Alan Bennett ha il grande pregio, ai miei occhi, di parlare di problematiche molto precise, problematiche che (per gli studiosi, i medici, i giornalisti, i sociologi) hanno delle parole che le definiscono, a volte forse un po’ generiche, qualche volta fin troppo specifiche, e lui invece ne parla tenendosi sempre molto lontano da queste definizioni, dall’uso di queste parole. Più che lo studio o la conoscenza medica, politica o sociale del problema, in Bennett vi è la immediata rappresentazione umana della questione, della patologia, della problematicità. Sono esseri umani quelli che lui racconta, anche se poniamo sta descrivendo la regina d’Inghilterra, e anche Wilfred Paterson, il protagonista de Il gioco del panino, lo è. Una creatura umana, umanissima direi, con disagi, paure, problematiche tutte sue, anche se in fondo tutte possibili in ogni creatura umana. Bennett non giudica, non condanna, non assolve, non risolve ma semplicemente osserva questi suoi fragili e vibranti personaggi come si osserverebbero le cose della natura, con le sue leggi e le sue eccezioni, le sue regole e le sue devianze. Quindi io qui non starò a raccontarvi la storia di Wilfred Paterson, né tanto meno ad usare parole che lo potrebbero definire, come malato, come diverso, o come criminale, perché Bennet non le usa e io voglio fare come lui. Incontrerete una persona, un signore, che ha lavorato anche in un parco pubblico, che è sposato, che non ha avuto figli, e che ha tutta una sua vita emotiva ed affettiva che cercherò di far vivere quanto più mi sarà possibile. Sapendo solo che, come dice Amleto ad Orazio, ci sono più cose in cielo e in terra di quanto ne immagina o ne sogna la nostra filosofia.


Arturo Cirillo

 

 

 

dal 2 al 3 novembre ore 21

GOD'S NEW FROCK

di Jo Clifford
 diretto e interpretato da Massimo Di Michele

costumi Alessandro Lai, luci Emanuele Lepore

immagini di scena Cristina Gardumi

scrittura gestuale Dario La Ferla

assistente alla regia Daniel Pistoni

foto Gian Marco Funari

traduzione Lorenzo Stefano Borgotallo

produzione Smart lab teatro

 

“Buonasera.

Buonasera signore, buonasera signori. Buonasera uomini, buonasera donne,

Buonasera a coloro che non sono né signore né signori,

Né uomini, né donne

ma che come me sono forse qualcosa nel mezzo o qualcosa con un pizzico di entrambi…”

Da dove nascono le nostre convinzioni più ferme? Da dove provengono le verità su cui si basa la nostra società? Chi ci insegna cosa è giusto e cosa è sbagliato? La risposta deve essere almeno complessa quanto la domanda. Magari si potrebbe circoscrivere la questione e soffermarsi su una domanda ancora più specifica: perché la Storia, la Società ci insegnano ad essere inequivocabilmente uomini oppure donne? Chi ha mai stabilito così nette distinzioni tra i sessi e cosa di più appropriato si applichi a ciascuno di essi? È questo il punto di partenza del monologo “La nuova tonaca di Dio”, di Jo Clifford che con caustica ironia re-intreccia per i lettori l’atavica trama della storia più antica del mondo: la nascita del creato. Ma quella di Clifford non è esattamente la Genesi che ci è stata raccontata tra gli incensi di una messa. È piuttosto la percezione confusa e surreale che Clifford da bambino ha del racconto biblico. È il perplesso racconto di un Dio che, puntino solo e annoiato perso nel nulla cosmico, crea il mondo con fare da principiante, modellando un uomo dal fango, come fosse un piattino o una tazzina, e poi creando Eva, per alleviare la solitudine di Adamo. Che stabilisce, una volta cacciati i due dal giardino dell’Eden, che l'uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte e la donna dovrà partorire con dolore. È la storia di come Dio voglia che l’essere umano sia maschio o femmina e che tutto quello nel mezzo, invece, non esista. E che buffo, agli occhi di un bambino, sentire questa stessa storia che insegna agli uomini a fare gli uomini e alle donne a fare le donne pronunciata da un prete in tonaca lunga, che sembra proprio una lunga sottoveste. Ma questa storia, in fin dei conti, non è tanto buffa. Perché proprio da essa discende quel senso di inadeguatezza che si prova quando la percezione che si ha di sé non corrisponde alla nitida dicotomia di genere che la Bibbia racconta. Il sentirsi sbagliati nell’avere un corpo da uomo adolescente e sognare di poter indossare un vestitino giallo con spensieratezza. A ben guardare, poi, questa dicotomia non è poi neanche così perfetta. È una bilancia che pende per lo più verso il piatto dell’uomo. La donna viene dopo, creata per ripiego, perché Adamo si sentiva solo. Agli occhi inesperti di un bambino, le immagini della nascita del creato si affastellano surreali, grosse bugie ripetute fino a diventare la gabbia di verità costruite in cui cresce come un prigioniero. Il monologo di Clifford è la liberatoria narrazione della messa a fuoco che ribalta la prospettiva, squarcia il velo di illusione e menzogna intessuto nel racconto biblico e intenta un processo a Dio per le colpe di odio e dolore che la sua dottrina ha creato tra i "diversi".

La narrazione segue un climax ascendente che culmina nella iconoclastica accusa a Dio. A ben guadare, la condanna sembra rivolgersi non tanto a Dio nella sua natura spirituale, ma alla visione di Dio che le religioni hanno ideato, alla natura secolare delle sue chiese che lo interpretano alla luce di logiche terrene e parziali. Le “tonache” di Dio che scambiano i propri pensieri per la voce del Signore.

Il testo, si chiude con una benedizione che non è tanto la fine di un percorso ma un richiamo al principio, prima che fosse corrotto dalle religioni storiche. Se esiste un peccato originale, esiste ancor prima una benedizione originale che è lo spirito puro del Divino, dell’Essere. Ma quanto questo divino è frutto dell’uomo stesso? L'opera di creazione in cui l’uomo è co-protagonista non è mai finita ma continua ogni giorno.

Massimo Di Michele

 

 

 

dal 5 al 7 novembre ore 21

A NUMBER

di Caryl Churchill

 progetto e regia Luca Mazzone

con Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo

costumi Lia Chiappara

disegno luci Gabriele Circo

traduzione Monica Capuani

produzione Teatro Libero di Palermo

 

Un padre, un figlio. Il rapporto tra il Padre – figura concreta e allo stesso tempo utopica, e il figlio; rapporto che appartiene alla dimensione più precipua del mito, quello fatto di legami ancestrali, non detti ontologici che sottendono, nella relazione stessa, l’elemento dell’unicità e della natura, che in una contrapposizione polare si trovano contrapposti al nutrimento e al contesto. Una contrapposizione polare ritmata da attrazione e repulsione. Un legame di pura necessità. L’ineluttabilità del rapporto è quella del legame tra il Padre e i suoi figli, rapporto che ha nel sangue un correlativo oggettivo che sottende l’unicità e l’impossibilità della replica quali leggi necessarie della natura. Correlativi oggettivi della stessa esistenza, donataci, appunto, dal Padre, di cui siamo tutti figli. L’unicità di tale rapporto è, però, una certezza che si è sgretolata nella società contemporanea dove la replicabilità, la serialità, e la stessa virtualità, sono diventate i nuovi dogmi cui obbedire. Dogmi che si contrappongono alla natura da una parte, e che però hanno aperto una breccia nella riflessione profonda del ruolo del contesto e del “nutrimento”, qui inteso come cultura ed educazione.

 

 

 

 

dal 9 al 14 novembre ore 21

GIRL IN THE MACHINE

di Stef Smith

regia Maurizio Mario Pepe

con Liliana Fiorelli e Edoardo Purgatori

voce Black Box Patrizia Salmoiraghi

supervisione movimento Jacqueline Bulnes

scenografo Nicola Civinini

sound design Lorenzo Benassi

foto di scena Manuela Giusto

traduzione Maurizio Mario Pepe

produzione: Khora Teatro / La Forma dell’Acqua

 

SINOSSI

Ambientato in una realtà tecnologica, poco più evoluta della nostra, “Girl in the Machine” è un viaggio all'interno della vita di una giovane coppia sposata, i cui nomi sono Polly e Owen, due esseri umani che vivono insieme la loro esistenza totalmente immersa nella virtualità. Owen fa l'infermiere mentre Polly è avvocato. Una donna in carriera, sempre impegnata nel suo lavoro, costantemente richiamata all'ordine dal suo cellulare che non smette mai di squillare. Per questo suo marito si sente trascurato ed è preoccupato per la donna che ama; decide quindi di portarle un nuovo gioco per il wellness, un dispositivo dal look moderno e accattivante, adatto a monitorare i livelli di stress ed il cui nome è Black Box. Polly dimostra da subito un po' di scetticismo nei confronti del nuovo tecnologico arrivo ma, tuttavia, inizia ad usarlo scoprendo che Black Box funziona. Il gioco la fa effettivamente rilassare e ben presto, scoprirà che è in grado di fare ben altro. La donna ne viene rapidamente sedotta, al punto da sviluppare una vera e propria dipendenza con un conseguente distacco dal mondo reale, a cui si aggiunge anche l'allontanamento del marito. Black Box non esegue solo ordini, ma chiede con voce suadente ai propri utenti, una sola e singola domanda, esistenziale se non addirittura escatologica; influenzando così la percezione umana, assottigliando, fino a dissolvere, la linea che separa il mondo fisico da quello digitale. Polly e Owen sono costretti a chiedersi se le loro definizioni di realtà e libertà siano le stesse. E mentre all'interno della coppia sorgono uno dopo l'altro molti dissidi, veniamo a conoscenza del successo che Black Box ottiene nel mondo e delle conseguenze che ha sulla società. Sembra che i proprietari di Black Box sfruttino la tecnologia per scopi sinistri. Owen proverà in più modi a far disintossicare Polly. Fuori, il mondo è in tumulto contro lo strapotere della virtualità; nel loro appartamento, i due discendono tra le pieghe del loro rapporto; Black Box, ferma nel cuore di casa, lampeggia connessa. Riuscirà Owen a salvare Polly dal dolce oblio tecnologico, proprio quando la realtà sembra più difficile che mai?

 

NOTE DI REGIA

La trama è una sorta di giallo, incentrato sulla dipendenza tecnologica; sembra che alla base di ogni forma di dipendenza vi sia la necessità di evasione dalla realtà. Il testo punta il dito proprio su questo aspetto. La protagonista ha tutto ciò che le occorre per essere felice e procedere nella propria vita, tuttavia accade qualcosa che rompe il suo equilibrio e la farà precipitare; ma Polly non sarà la sola. In “Girl in the Machine” Stef Smith scrive della dipendenza tecnologica, con conseguenze simili a quelle che associamo a forme più consolidate di dipendenza, per poi allargare la riflessione includendo tematiche legate al concetto di controllo mentale e ai modi in cui le nostre interazioni digitali possono essere monitorate e manipolate. Il percorso di Polly è inserito in un'emergenza di massa, che metterà a rischio l'intera società umana. Questa circostanza porta il pubblico a riflettere sull'oggi, un mondo in cui alcuni individui hanno già i chip impiantati sotto la pelle, un mondo che già ospita il primo cyborg, Neil Harisbond, riconosciuto tale, per legge, dal Governo Britannico. Ma anche senza spingerci così in là, potremmo semplicemente considerare la devozione servile che molti hanno verso il proprio smartphone.

                                                                                                                                Maurizio Mario Pepe

 

 

dal 16 al 17 novembre ore 21

CHEF

di Sabrina Mahfouz
regia Serena Sinigaglia
con Viola Marietti
un progetto di Viola Marietti, Marina Conti, Katarina Vukcevic

traduzione Monica Capuani
produzione Centro Teatrale Bresciano

 

Di lei non conosciamo il nome, la chiamano Chef, è tutto. In una cucina industriale, asettica, che diventa un banco degli imputati dove si giudica cosa è bene e cosa è male, Chef ci racconta, attraverso gli eventi più significativi della sua vita, come ci si ritrova dall’essere a capo di un ristorante di alto livello a gestire la cucina di un carcere femminile. “Chef è una precisa categoria di persone – scrive Serena Sinigaglia – quelle disgraziate, quelle che vivono ai limiti, quelle della droga, delle risse, del malaffare, quelle che nessun padre, nessuna madre tolgono dalla strada. Quelle che sbagliano e che la nostra giustizia punisce o rieduca, dipende da come la si vuol guardare”. Chef è stata condannata: si trova in carcere perché accusata di omicidio premeditato nei confronti del padre. E mentre gestisce con le sue due assistenti il servizio giornaliero, è di nuovo sottoposta a processo per l’ambiguo tentativo di suicidio di una delle due detenute che lavorano con lei, Candice. “Chef è anche una condizione esistenziale che ci riguarda tutti – continua Sinigaglia – Chef è il diritto alla scelta, giusta, sbagliata, non ha importanza, l’importante è averla una scelta. Ma se non ce l’hai, non hai il diritto di gridarlo a gran voce? Bene. Ma non basta ancora. Chef è una vittima dal destino segnato, figlia di padri e di madri che non sanno fare il padre e la madre. Chef è il tentativo di un riscatto che, al di là delle apparenze e di tanta retorica, la nostra società non perdona e non permette. Figlia di una libertà apparente che ti affoga nell’ipocrisia e nell’indifferenza. Il monologo della Mahfouz è straordinario, straordinario nel veicolare temi tanto profondi con la leggerezza tipica dei grandi scrittori di teatro. Non è realistica, è epica. Come Shakespeare maneggia la musicalità della parola, la leggerezza del suo incedere, mediando con sapienza il comico e il tragico. Chef è una danza, una lingua da mangiare”. Serena Sinigaglia porta in scena un testo profondamente catartico – vincitore tra gli altri premi del Fringe First Award – scritto dalla giovane poetessa, drammaturga, attrice e scrittrice anglo-egiziana Sabrina Mahfouz.

 

A dare voce e corpo a questa storia feroce, una giovane e bravissima Viola Marietti.

 

 

 

dal 19 al 21 novembre ore 21

THREE KINGS

di Stephen Beresford

diretto e interpretato da Francesco Bonomo

musiche Emiliano Duncan Barbieri
luci Giuseppe Filipponio

traduzione Natalia di Giammarco

produzione Sardegna Teatro

 

È la storia del rapporto tra un Figlio e un Padre latitante.

Si tratta di un monologo che si organizza secondo un registro misurato ed essenziale, cosa assai singolare in questi tempi tanto chiassosi ed aggressivi.

 

Chi racconta è il figlio, Patrik: a noi si presenta come un uomo ormai logoro, invecchiato anzi tempo e stanco della vita; il solo rapporto che gli resta è con l’alcool.

Capiremo presto che egli altro non è se non il risultato delle vicende che hanno contrassegnato il suo rapporto con il Padre.

 

Lo incontra per la prima volta quando ha compiuto otto anni e spera che questo sia l’inizio di un nuovo capitolo della propria vita; ma il padre no, non desidera affatto provare a costruire – se non con belle parole- un dialogo con quel figlio abbandonato alla nascita.

Sembra ridere di concetti come affetti ritrovati o responsabilità paterna, tanto è vero che promette a questo bimbetto che vorrà rivederlo solo a patto che Patrik risolva l’enigma di un gioco di prestigio: questa impresa, certo, lo farà diventare in futuro un uomo di successo nei pub e, dunque, in tutto il mondo.

Ma Patrik, manco a dirlo, fallisce l’impresa e il Padre mantiene la promessa e se ne va.

 

I due si incontreranno solo dopo altri otto anni.

Ma il padre è diventato ancora più inafferrabile, le sue presenze sono sporadiche e le loro occasionali interazioni si fanno persino astiose.

Peggio: Patrik scopre da altri che, ovunque il padre vada, lascia dietro di sé una oscura ombra di vuoto e di miseria.

 

In punto di morte il vecchio gli dirà: “Non puoi amare ciò che ti delude. Tu puoi?”.

E Patrik a questo punto comprende definitivamente una verità ineludibile: un’assenza può diventare presenza ossessiva e padrona: la latitanza di un affetto può produrre la riproposizione di un medesimo destino.

 

Patrik trascorrerà la propria vita nell’inedia, senza autentici contatti con il prossimo, in una sorta di sommessa e consapevole alienazione.

 

 

 

dal 24 al 28 novembre ore 21

CORIOLANUS VANISHES

di David Leddy

adattamento e regia Carlo Emilio Lerici

con Francesca Bianco

produzione Teatro Belli

 

Chris ha sperimentato tre diverse morti, una dopo l'altra. E ora è in prigione, in attesa di processo senza neanche sapere perché. Scritto senza indicazioni di genere, originariamente interpretato da un uomo e ora interpretato da una donna senza che una sola parola del testo sia stata cambiata, CORIOLANUS VANISHES è una complessa discesa negli inferi della psiche attraverso passione, vergogna, devastazione e molte, troppe forme di follia. Appena sotto la superficie dei gesti quotidiani c'è infatti un sottobosco di anarchia che incombe. Ragionando su come i ricordi d'infanzia – anche quelli più oscuri - possano assediare le nostre relazioni adulte, CORIOLANUS VANISHES combina l'ambiguità morale del commercio globale di armi con alcune scelte radicali come quella di adottare un bambino abusato. A volte i tuoi amici sono peggio dei nemici, e a volte ti ritrovi ad essere il peggiore di tutti. Cosa succede allora? In questa impressionante meditazione di David Leddy sul potere e sui suoi abusi, Francesca Bianco assume il ruolo della protagonista Chris, un personaggio tormentato che vive in una prigione claustrofobica e inquietante, da cui contempla il terrorismo globale, la famiglia, le relazioni, il senso di colpa, il sesso e la morte. Una creatura selvaggia, che, se un tempo accarezzava, ora uccide. Dalla cintura di suo padre a una serie di giustificazioni per il traffico di armi in Arabia Saudita o per i segni dei morsi di un amante, le sue ciglia lunghissime si dispiegano sia nella sala riunioni che in camera da letto: Chris infatti fa poca distinzione tra piacere e affari, e i ricordi, di conseguenza, tendono a sovrapporsi. Così, mentre Chris fornisce informazioni su come è arrivata a mentire, imbrogliare e addirittura a uccidere, le luci al neon inondano la stanza di colori primari al tempo stesso piacevoli e inquietanti. Fino a una scoperta inaspettata.

 

 

 

dal 29 novembre al 1dicembre ore 21

SCENES WITH GIRLS

di Miriam Battye

regia Martina Glenda

con Chiarastella Sorrentino, Chiara Gambino e Giulia Chiaramonte

scene Sara Palmieri

traduzione Martina Glenda e Massimo Cerrotta

produzione Khora srl

 

Un appartamento e due ragazze che si guardano le spalle l’un l'altra. Lou e Tosh non hanno intenzione di cedere ad uno schema di vita che qualcun altro sembra aver già deciso per loro. Altre amiche, come Fran, sono passate da quella casa poi si sono fidanzate e sono andate via. Lou e Tosh rimangono e resistono, hanno la loro amicizia e questo è quanto basta. Questo è amore.

Con il testo di Miriam Battye veniamo calati nel mondo di Lou e Tosh. Tema fondamentale che pervade la narrazione è l’amicizia ed il valore che devolviamo ad un rapporto che, a differenza di quello sentimentale, dà tutto senza richiedere una “ricompensa”. La stessa autrice si riferisce al testo dicendo: “Penso che tratti del mondo impossibile in cui vivono le giovani donne: viene detto loro che il loro scopo è trovare qualcuno che le ami, e poi si sentono patetiche perché vogliono trovare qualcuno che le ami. Non ho idea di dove inizi o finisca il desiderio di essere amati. Non so cosa mi appartiene e cosa è solo qualcosa che mi è stato inculcato.” Attraverso la frammentarietà delle scene, abbiamo accesso a sprazzi luminosi di questa amicizia fatta di intese sottili e linguaggi quasi in codice ma anche a momenti esplosivi carichi di rabbia e disprezzo. I profili delle protagoniste sono fluidi e mutevoli, mettendoci difronte a due esseri umani animati da positività quanto da negatività. Ciò offre la grande possibilità di portare in scena tutta l’ambiguità e la complessità di due giovani donne. Le due ragazze cercano di definirsi con forza. Hanno una missione fondamentale, sfuggire alla Narrativa Tipica secondo la quale una donna, cresciuta con l’idea di aver bisogno delle attenzioni di un uomo, debba inevitabilmente “sistemarsi”. I personaggi ci mostrano due approcci diametralmente opposti alla questione. Lou, si cimenta in una piena e libera sperimentazione della sua sessualità rincorrendo il distacco emotivo fino alla sua completa estraniazione durante un rapporto sessuale. Tosh, al contrario, porta avanti una campagna di ferreo celibato, disprezzando con determinazione il sesso opposto. Nel corso del testo, fa la sua comparsa un terzo personaggio, Fran. Fran è la loro ex-coinquilina che ora è fidanzata. La ragazza risulta sempre come un’intrusa nel loro mondo, ma per quanto le due protagoniste cerchino di svilire le sue scelte più “tradizionali”, Fran crea un costante cortocircuito nelle loro credenze. Ed è qui che nasce il mio interesse nel mettere in scena questo testo che sembra portarci in un ironico cul-de-sac. Le due protagoniste, cercando di sfuggire alle aspettative sociali, sembrano chiudersi in una gabbia ancora più grande. La testarda difesa dei propri ideali spesso le porta allo svilimento degli stessi e pian piano la validità della solidarietà femminile su cui basano il loro rapporto vacilla. L’intesa tra i personaggi è però inviolata, portandoci a riflettere sull’irrazionalità del volersi bene e su quali siano le reali differenze che intercorrono tra i rapporti d’amicizia e quelli che tradizionalmente definiamo d’amore. Attraverso un lavoro che mette l’accento su una recitazione relazionale si cercherà di rintracciare le micro-connessioni che uniscono/dividono i personaggi, ciò che porta loro all’ammirazione reciproca e ciò che li fa scattare l’uno contro l’altro. Un’ analisi volta all’esplorazione della platonica devozione delle donne nei confronti delle altre donne e del potere che esse possono esercitare l’una sull’altra. Citando nuovamente l’autrice: “Le donne possono farsi sentire a vicenda belle, potenti, viste e ascoltate. Le donne possono farsi sentire a vicenda non belle, stupide, puttane o frigide. Le amicizie femminili a volte vengono presentate come semplici. Quasi da darsi per scontate. Come se l’avere diverse amiche con le quali ridere e lamentarti sia solo parte del tessuto che compone la fanciullezza femminile, e che poi queste cesseranno di esistere quando troverai un fidanzato.” La scena essenziale e funzionale all’azione prende inspirazione dall’idea di rifugio, un luogo protetto e sicuro, un vero microcosmo di cui i personaggi sono padroni. Vite diverse che si incontrano e trovano un equilibrio in uno spazio comune. Tutto è comodo, tutto è accogliente in uno spazio ricoperto da texture morbide di pelo sintetico. Una palette pop e sgargiante, decisa come gli stati emotivi delle ragazze che abitano la scena. Elementi, simbolici e non, sono i fiori, agiti o richiamati a più riprese nel testo.

 

dal 3 al 6 dicembre ore 21

LOVE AND UNDERSTANDING

di Joe Penhall

compagnia Divina Mania

regia Mauro Lamanna

con Gianmarco Saurino e Mauro Lamanna

traduzione Natalia di Giammarco

produzione Oscenica

 

Neal e Rachel sono una coppia, entrambi dottori. Molto indaffarati col loro lavoro, si vedono ormai raramente e la loro relazione ne soffre. Arriva un vecchio amico di Neal dal Sudamerica e chiede ospitalità. I due, troppo stanchi per dirgli di no, lo fanno entrare nella loro vita, e questo porta a non poche sorprese e sconvolgimenti…

 

 

9 dicembre ore 21

TARANTULA

di Philip Ridley

adattamento e regia Carlo Emilio Lerici

con Raffaella Alterio

produzione Trilly Produzioni

 

Una sorprendente esplorazione dell'identità, della memoria, dell'amore e degli ostacoli da superare per liberarsi dalla rete del proprio passato. TARANTULA è la storia di Toni,     brillante adolescente di East London che legge un sacco di libri ma ha pochissima esperienza in amore. Per non parlare del sesso. Con la sua inconfondibile attenzione per i   dettagli, Ridley delinea la situazione familiare di Toni, presentandoci la mamma che lavora in uno studio di ottica e i suoi due fratelli fratelli: Maz, di due anni più grande, e la piccola          Rochelle. A Toni piace aiutare il prossimo e, quando si offre come volontaria per un evento scolastico a favore dei residenti più anziani, incontra Fern, il ristoratore, e suo figlio,        l'adolescente Michael. Dopo alcuni primi, imbarazzanti scambi di battute, i due giovani   fissano un appuntamento. Philip Ridley è perfetto nel ritrarre i pensieri e i sentimenti della goffa ma dolce Toni e del burbero e anch'egli tenero Michael. Ma, un po' per l'accezione vagamente  sinistra del titolo dell'opera e un po' perché la dolcezza dell'amore  adolescenziale non è di per sé materia per un dramma, la sensazione che qualcosa di brutto stia per accadere si fa via via sempre più forte.

 

 

dall'11 al 15 dicembre ore 21

SNOWFLAKE
di Mike Bartlett
regia Stefano Patti
con Marco Quaglia

traduzione Stefano Patti
produzione 369gradi
con il sostegno di Fortezza Est

 

(anteprima)

 

“Perché a Natale, beh… è quando si dice le persone ritornano a casa”.

A Andy piace la televisione nostalgica, le pinte di birra al pub e sentire gli album dall’inizio alla fine. Sua figlia, Maya, indossa scarpe buone, le piace affrontare belle discussioni e ha un piano segreto per abbattere il governo.

Il problema è che 3 anni fa Maya ha lasciato casa, e non si parlano da allora. Ma questo Natale potrebbe tornare. Andy sa che potrebbe farlo. Maya no.

Snowflake di Mike Bartlett è una storia sul conflitto generazionale, su padri e figlie e sulla difficoltà di ascoltarsi in questo periodo storico. Ha debuttato all’ Old Fire Station a Oxford nel 2018 e ha continuato il suo tour al Kiln Theatre di Londra nel 2019 diretto da Claire Lizzimore.

 

 

 

dal 16 al 19 dicembre ore 21

PLAY HOUSE

di Martin Crimp

diretto e interpretato da Francesco Montanari

con la collaborazione di Davide Sacco

scene Luigi Sacco, luci Andrea Pistoia

organizzazione Ilaria Ceci

traduzione Enrico Luttmann

produzione Narni Città Teatro

 

SINOSSI

Un uomo e una donna. L’amore, la noia, la famiglia, il sesso, i battibecchi, il rancore. In 13 quadri Katrina e Simon esplorano piccoli momenti di quotidianità, affondano la lama nel loro rapporto, costruiscono e distruggono la relazione. Il mondo, fuori, è solo un’eco e, quando penetra nel loro appartamento, eccita e destabilizza. Ma chi sono veramente Katrina e Simon? Quale ruolo interpretano? Si sono veramente mai conosciuti?

Lo spettatore ha costantemente l’impressione di spiare dal buco della serratura nella stanza, asettica, in cui si consuma la vita di un uomo, drammaticamente esilarante, disperatamente sola.

NOTE DI REGIA

La penna di Martin Crimp ha costruito due personaggi, Katrina e Simon, incredibilmente piccoli ma straordinariamente complessi. In poche parole e gesti i due si presentano come molte coppie contemporanee: disfunzionali, incoerenti, confusi, egocentrici.

In questa visione registica i personaggi di Katrina e Simon si fondono in un’unica interpretazione, si accavallano, sorprendendosi a vicenda delle scelte dell’altro. Ne rimane un forte senso di solitudine, un’incomunicabilità di fondo, una difficoltà nell’affrontare la crescita e la maturità e – alla fine – la paternità/maternità.

Cosa c’è al centro di una relazione quando tutto si sgretola? Cosa tiene legate le persone? Il rituale della coppia si ripete all’infinito, e la sottile linea tra finzione e realtà, verità e interpretazione si confonde sempre di più, il gioco diventa sempre più meccanico in una Play House da cui, alla fine, nessuno esce vincitore. Almeno questo vorrebbe farci credere la consuetudine, ma forse per cambiare il destino della coppia basterebbe lo sforzo di direzionare lo sguardo verso l’altro e trovare in quegli occhi la credenza di poter essere felici insieme per davvero. Chissà…

 

                                                                                                        Francesco Montanari

 

 

TREND LIVE – spettacoli on demand

biglietto 3 €

Riprese video effettuate da Francesca Cutropia, Paolo Roberto Santo e Andrea Brandino

 

28 ottobre

 

AWKWARD CONVERSATIONS WITH ANIMALS I'VE FUCKED

di Rob Ayes

con Alessandro Haber

regia Enzo Aronica

 

Un monologo senza esclusione di colpi sulla solitudine abissale di un uomo che non sa prendere le misure col mondo, un frustrato, disadattato, in guerra con gli altri e con se stesso. Politicamente scorretto e mai banale, il testo di Hayes, con un linguaggio serrato capace di grandi affondi, forza gli schemi del ben pensare, duellando col pregiudizio e con la visione ipocrita che associamo ad esso.

 

Ripresa d'archivio

1 novembre

 

THE EARLY BIRD

di Leo Butler

con Valentina Corrao e Roberto Marra

regia Massimo Di Michele

 

 

Basato su un testo scarno e allo stesso tempo lirico, lo spettacolo è imperniato sul dialogo tra Debby e Jack, genitori di una bambina scomparsa. Più che un dialogo, un flusso di coscienza che scorre magmatico sullo sfondo di un tempo immobile, paralizzato da un dolore totalizzante, in cui tra brusche virate di registro e scambi tra personaggi, i due protagonisti si rincorrono, litigano, si trasformano in altro, accecati dal bisogno e dal dovere di trovare un possibile colpevole.

 

 

8 novembre

 

THE PASS

di John Donnelly

con Edoardo Purgatori, Giorgia Salari, Federico Lima Roque e Gianluca Macrì

regia Maurizio Mario Pepe

 

Due giovani calciatori professionisti condividono una stanza d’albergo durante una trasferta. Eccitati e spaventanti si preparano a disputare un’importante incontro in Champions League che segnerà il loro futuro professionale. Inaspettatamente l’intesa tra compagni si trasforma in attrazione. Dopo la resa dei conti nel match i loro destini saranno segnati. Cristian, rimossa volontariamente l’intimità scoccata la notte precedente, diventerà un importante giocatore, sposerà una donna e avrà dei figli. Ade avvierà una ditta di ristrutturazioni e troverà l’amore con Luca. I due s’incontreranno dopo circa dieci anni e il confronto non renderà salvezza.

 

15 novembre

 

KILLOLOGY

di Gary Owen

con Stefano Santospago, Emiliano Coltorti e Edoardo Purgatori

regia Maurizio Mario Pepe

 

Un nuovo, controverso videogioco sta influenzando un'intera generazione. In Killology i giocatori ricevono dei bonus quando torturano le vittime e accumulano punti proporzionalmente alla loro creatività sadica. Eppure non è considerato un gioco perverso, perchè abilmente commercializzato dal suo creatore multimilionario come un'esperienza etica. Nel gioco si può infatti dare libero sfogo alle fantasie più oscure, ma non sfuggire alle conseguenze.

 

 

 

 

18 novembre

 

 THE COLLECTOR

di Mark Healy

con Giorgio Lupano e Beatrice Arnera

regia Francesco Bonomo

 

Frederick Clegg è un uomo schivo con la passione dell’entomologia: il suo unico interesse è catturare e collezionare farfalle. Ha da qualche tempo notato Miranda, una giovane e affascinante studentessa d’arte, una ragazza tanto vitale e luminosa quanto lui è anonimo e ombroso. Dopo una fortuita vincita alla lotteria che lo rende ricchissimo, decide di comprare una vecchia casa isolata, di riadattare il seminterrato ad appartamento e di rapire la ragazza; è convinto che stando da sola con lui imparerà a conoscerlo e quindi ad amarlo.

22 novembre

 

LOVESONG

di Abi Morgan

con Antonio Salines, Francesca Bianco, Alice Arcuri, Michele Maganza

regia Carlo Emilio Lerici

 

La storia di una coppia che attraversa 40 anni, e nel racconto scopriamo le difficoltà, gli scontri, l'alcolismo, le tentazioni di infedeltà da entrambe le parti, e l'incapacità di avere figli che colpisce profondamente entrambi anche se in modo diverso. Sino al dramma finale: le frequenti visite mediche della moglie, l'ossessione per la descrizione del contenuto della casa, i post-it che sta mettendo un po' ovunque.

 

23 novembre

 

THE CONTAINER

di Clare Bayley

con Hefedh Khalifa, Eslam Saeed, Nadia Oulski, Saeid Haselpour,

Antoinette Kapinga, Jasmine Volpi

                              regia Carlo Emilio Lerici

 

Chiusi in un container che attraversa l'Europa, cinque profughi sono in viaggio con un obiettivo comune: arrivare in Gran Bretagna. Gli immigrati non possono vedere dove stanno andando, e non sanno nemmeno se il camion in cui sono rinchiusi è in movimento o fermo. Uniche certezze la fame e la sete, e poco a poco anche qualche contrasto fra di loro. I contrasti si acuiscono quando il trafficante entra per dirgli che sono all'ultima tappa del loro viaggio, ma se vogliono arrivare nel Regno Unito, devono tirare fuori altri soldi.

 

 

2 dicembre

 

BLUE THUNDER

di Padraic Walsh

con Marco Cavalcoli, Gianmarco Saurino e Mauro Lamanna

regia Mauro Lamanna

 

 

Sono le 3 del mattino in una piccola città dell'Irlanda. Il nightclub è chiuso e Brian non prenderà altre corse fino a domani. Ma, quando i suoi figli ubriachi si presentano chiedendo un passaggio a casa, diventa chiaro che la notte è appena iniziata. Avviene tutto nel suo taxi. Stasera Brian e i suoi due figli parleranno di come sistemare le loro vite mentre, in piena fame chimica, mangiano il loro cibo spazzatura da asporto.

 

20 dicembre

 

ST.NICHOLAS

di Conor McPherson

reading agìto e a cura di Valerio Binasco

 

Una figura di padre di famiglia che a Dublino si scopre infatuato di un’attrice, l’accompagna a casa «con Chaucer e Milton seduti dietro, nella macchina, che si divertivano un mondo», disposto poi a seguirla nella tournée londinese della compagnia di cui la ragazza fa parte, per trovarsi avventurosamente nelle mani, lì, di una congrega di strani e mimetizzati vampiri, in un’altalena di realtà e irrealtà, sottoposto ai traffici notturni del dandystico e succhiasangue William.

 

 

I biglietti potranno essere acquistati sul sito www.teatrobelli.it sul bottone “acquista” dello spettacolo, selezionando la data. Il giorno dello spettacolo sarà fornito all’email con cui si è effettuato l’acquisto un link univoco che darà accesso al portale dove si terrà lo spettacolo.

 

informazioni

 

Gli Autori

Alexander Zeldin
Nato il 24 aprile 1985 è un drammaturgo e regista britannico. Ha realizzato i suoi lavori in Russia, Corea del Sud e Medio Oriente. Ha lavorato anche come insegnante presso l’East 15 Acting School. È stato aiuto regia di Peter Brook e Marie-Helene Estienne. Il suo testo Beyond Caring, che ha debuttato allo Yark Theatre di Hackney nel 2014 ed è stato poi messo in scena al National Theatre, è stato acclamato dalla critica. Nel 2017 ne è stata realizzata anche una produzione statunitense, che ha debuttato a Chicago nell’aprile 2017. Nel 2015 ha vinto Quercus Trust Award. In seguito all’altro grande successo LOVE, che ha debuttato al National Theatre a dicembre 2016, è stati nominato Artista Residente al National Theatre. Collabora inoltre con l’Odéon Théâtre de L’Europe di Parigi, e con il Vienna Festwochen.

Anthony Neilson
Nato nel 1967 a Edimburgo è un drammaturgo e regista scozzese. Il suo lavoro è caratterizzato dall’esplorazione di sesso e violenza, e viene comunemente associato al movimento in-yer-face-theatre, come viene chiamato il filone inglese degli anni ’90 di cui i tre grandi esponenti vengono appunti individuati in Sarah Kane, Mark Ravenhill e Anthony Neilson. Ha studiato al Royal Welsh College of Music and Drama e ha cominciato la sua carriera al Finborough Theatre.

Alan Bennett
Scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e attore britannico. È nato a Leeds il 9 maggio 1934. Dopo gli studi ha vinto una borsa di studio ad Oxford presso l'Exeter College, dove si è laureato in storia, abbandonando poi il mondo accademico per dedicarsi al teatro. Nel 1960, ha esordito come attore e coautore dello spettacolo Beyond the Fringe. Nel 1968, a Londra è andata in scena la sua prima commedia: Forty Years On. Tra i suoi lavori più celebri spicca la serie di monologhi Talking Heads, resi poi celebri nel panorama teatrale italiano grazie alle interpretazioni dell'attrice Anna Marchesini.

Jo Clifford
Scrittrice, artista, poeta e insegnante con sede a Edimburgo. È autrice di circa 80 opere teatrali, molte delle quali sono state tradotte in varie lingue e rappresentate in tutto il mondo. Il suo passaggio da John a Jo le ha permesso di diventare un'attrice e performer. Recentemente ha eseguito il suo Gospel According to Jesus Queen of Heaven a San Paolo poco prima del lockdown. La sua traduzione di Life is a Dream doveva essere ripresa dal Lyceum a maggio; la traduzione finlandese del suo Wuthering Heights è andata in scena a Helsinki; e la sua Light in the Village (in una traduzione in urdu) doveva debuttare a Karachi a luglio. Attualmente sta lavorando a un pezzo danzato/parlato con la ballerina Skye Reynolds; e a The Not So Ugly Duckling con l’attrice e scrittrice Maria MacDonell.

Caryl Churchill
Nata a Londra il 3 settembre 1938 è una drammaturga britannica. Viene riconosciuta tra le maggiori drammaturghe di lingua inglese ed è a oggi una delle più celebri tra le scrittrici contemporanee. I suoi lavori giovanili furono influenzati dalle tecniche moderniste del teatro epico brechtiano. Il suo primo testo per il palcoscenico è Owners, prodotto a Londra nel 1972. Tra il 1974 e il 1975 lavora come drammaturgo stabile al Royal Court Theatre. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo la commedia Drunk Enough To Say I Love You.

Stef Smith
Originaria di un piccolo villaggio vicino Stirling in Scozia, ha studiato Drama and Theatre Arts (con una specializzazione in regia) alla Queen Margaret University a Edimburgo. Il suo lavoro si indirizza in maniera predominante alla politica, portando alla luce storie inedite e proponendosi di esaminare sia la leggerezza che l’oscurità della vita. Stef ama viaggiare, e tiene gruppi di scrittura creativa per ragazzi. Nel 2012 ha vinto un Olivier Awards per lo spettacolo RoadKill, ed è stata nominata Associate Artist del Traverse Theatre di Edimburgo. Si divide tra Glasgow, Leeds e Londra.

 

Sabrina Mahfouz
Poetessa, scrittrice, attrice e drammaturgo egiziana e britannica. È stata definita dal Guardian “una delle più interessanti drammaturghe attuali”, e “dinamite teatrale” dall’Independent. Tra i suoi lavori ricordiamo Chef, che ha vinto un Fringe First Award, ed è stato nominato per numerosi premi internazionali; Dry Ice, basato sulla sua esperienza negli strip clubs; Clean, un testo su tre donne che lavorano nell’ambiente criminale, che ha vinto un Herald Angel Award che è stato trasferito dal Traverse Theatre di Edimburgo all’Off Broadway nel 2015.

Stephen Beresford
È un attore, sceneggiatore e drammaturgo britannico. Ha iniziato a recitare all'età di nove anni in un gruppo teatrale locale. Ha frequentato la Royal Academy of Dramatic Art. Tra le opere teatrali in cui ha recitato vi sono Where There's Smoke (2000) e That Thing You Drew (2010). In seguito ha acquisito notorietà per aver scritto l'opera teatrale The Last of the Haussmans, prodotta dal Royal National Theatre nel 2012. Nel 2014 ha sceneggiato il suo primo lungometraggio, Pride, che ha vinto la Queer Palm al Festival di Cannes 2014 e gli ha valso il premio BAFTA per il miglior debutto di uno sceneggiatore, regista o produttore britannico. Nel 2014 ha fatto parte della Rainbow List, una lista annuale dei personaggi LGBT britannici più influenti pubblicata dalla rivista The Independent on Sunday, al numero 17.

David Leddy
Scrittore e regista di Glasgow, dove è direttore artistico della compagnia Fire Exit. I suoi testi hanno vinto numerosi premi, e sono stati rappresentanti in tutto il mondo, da Boston a Buenos Aires. È stato descritto come un “innovatore” dal Times, e “un’istituzione” dal The Independent. Tra i vari premi ha vinto anche l’Edinburgh International Festival Fringe Award. Nel 2018, la compagnia Fire Exit ha lavorato ad un progetto in collaborazione con il Book Festival, sul loro primo evento digitale, basato su una serie di messaggi WhatsApp che venivano inviati agli spettatori.

Miriam Battye
Giovane scrittrice e drammaturga britannica nata a Manchester. La sua opera più importante è Scenes With Girls che ha debuttato al Royal Court nel gennaio 2020 con la regia di Lucy Morrison. Tra le altre sue opere ricordiamo Trip The Light Fantastic (Bristol Old Vic), Pancake Day (Bunker Theatre/Playtheatre Company) e All Your Gold (Theatre Royal Plymouth). Destinataria nel 2020 dell'Harold Pinter Commission del Royal Court, scrive anche per la televisione. È infatti la prima scrittrice residente della Sister Pictures, con la quale al momento ha in cantiere diversi progetti.

Joe Penhall
Drammaturgo e sceneggiatore britannico. Nato a Londra, la sua prima opera importante è stata Some Voices per il Royal Court Theatre nel 1994, successivamente riadattata per due volte off-Broadway. Penhall ha vinto un Laurence Olivier Award, un Critics' Circle Theatre Award, e altri svariati premi. La sua opera successiva, Dumb Show, è un satirico attacco sugli eccessi dei giornalisti, portata in scena per la prima volta al Royal Court Theatre nel 2004, con la regia di Terry Johnson. Nel 2005 ha debuttato alla regia, dirigendo il cortometraggio The Undertaker, presentato in anteprima al London Film Festival. Ha scritto anche per la televisione, lavorando per le serie TV della BBC The Long Firm e Moses Jones. Nel 2009 ha adattato “La strada” di Cormac McCarthy per il grande schermo. Il film, intitolato The Road, è stato diretto da John Hillcoat ed interpretato da Viggo Mortensen.

Martin Crimp
Nasce il 14 febbraio 1956 a Dartford, nel Kent. Viene talvolta descritto come un professionista della corrente “in-yer-face” del dramma britannico contemporaneo, anche se rifiuta l’etichetta. È noto per la stringatezza del dialogo, il tono di distacco emotivo, la visione desolante delle relazioni umane – nessuno dei suoi personaggi sperimenta l’amore o la gioia – e una preoccupazione per il linguaggio e la forma teatrale, piuttosto che un interesse per la narrativa. Il suo primo spettacolo, Clang, viene messo in scena dal suo compagno di scuola Roger Michell al St Catharine’s College di Cambridge. Le sue prime sei opere sono state rappresentate all’Orange Tree Theatre a Richmond. Tra queste si ricorda l’innovativo Attempts on Her Life, successivamente tradotto in venti lingue. Nel 1997 diventa scrittore residente al Royal Court Theatre di Londra. Oggi i suoi spettacoli vengono frequentemente rappresentati in Europa.

 


Mike Bartlett
Nato il 7 ottobre 1980 a Oxford, è un drammaturgo inglese. Ha scritto anche sceneggiature per film e serie televisive. La sua serie, Doctor Foster, scritta nel 2005, ha vinto il New Drama Award nei National Television Awards. Ha studiato all'Università di Leeds. È stato Drammaturgo in Residenza per il National Theatre e il Royal Court Theatre. La sua opera King Charles III ha vinto il Critic's Circle Award come Nuovo miglior Spettacolo e un Olivier Award, ed è stato nominato ai Tony Awards.

Philip Ridley
Nato a Londra il 29 dicembre del 1964, è un pittore, scrittore, sceneggiatore, autore teatrale e cineasta britannico e si autodefinisce "uomo del Rinascimento per l'era multimediale".

 

 

Si ringraziano:

Arcadia & Ricono
per Alexander Zeldin, Anthony Neilson, Alan Bennett, Jo Clifford,
Stephen Beresford, David Leddy, Joe Penhall, Mike Bartlett, Philip Ridley, John Donnelly, Gary Owen, Mark Healy, Abi Morgan, Clare Bayley, Padraic Walsh e Conor McPherson

Agenzia Danesi Tolnay
per Caryl Churchill, Sabrina Mahfouz

Antonia Brancati
per Stef Smith, Miriam Battye, Martin Crimp, Rob Ayes e Leo Butler

 

 


TREND
nuove frontiere della scena britannica
XX edizione


Direzione Artistica: Rodolfo di Giammarco
Organizzazione Generale: Carlo Emilio Lerici
Segreteria Organizzativa: Fabio Giusti e Martina Gatto
Ufficio Stampa: Paola Rotunno
Promozione: Alessandra Santilli
Direzione tecnica: Alessio Pascale
Progetto grafico: Carlo Mangiafesta


Orario spettacoli tutte le sere alle ore 21
Biglietto Intero € 13
Biglietto Ridotto (under 26 e over 65) € 5
Carnet 10 ingressi (Abbonamento ridotto under 26 e over 65) € 40
Carnet 5 ingressi (Abbonamento intero) € 40
Carnet 10 ingressi (Abbonamento intero) € 70

Informazioni e prenotazioni 06 5894875
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www.teatrobelli.it

Teatro Belli – piazza Sant'Apollonia, 11a – (Trastevere)

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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