Venerdì, 22 Novembre 2024
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TREND nuove frontiere della scena britannica – XIX edizione dal 23 ottobre al 21 dicembre 2020 al Teatro Belli

#segnalazione

 

Nell’agosto 2019 ho fatto all’Edinburgh International Festival le prove dei nostri odierni schemi di distanziazione. Per assistere al testo di e con Tim Crouch, “Total Immediate Collective Imminent Terrestrial Salvation”, si era disposti su due file concentriche di sedie tutte ben separate, e si scopriva una scissione tra dimensione quotidiana e mondo parallelo. Ora chi occuperà le poltrone in sicurezza del Teatro Belli per il XIX ‘Trend. Nuove frontiere della scena britannica’ conoscerà altrettanto un allontanamento di postazioni, uno scorporo di contatti: risultato di pareti e di ragionevoli ostacoli post-Covid, e d’una condizione più centrifuga dello spettatore. Questo concetto divisorio è anche il filo irregolare ma presente nei 14 testi che proponiamo. A cominciare esplicitamente dal monologo “Wall” di David Hare, cui si presta Valter Malosti: un muro innalzato per dividere ebrei e palestinesi.

A fare da checkpoint è poi, nella storia umana, il letto: rifugio e sede di ostilità in “Sleepless” (Tra notti insonni) di Caryl Churchill, regia di Lorenzo Loris. Una muraglia virtuale è quella tra dimensione contemporanea e adozione artefatta d’un immaginario da anni ‘50 in “Home, I’m Darling” di Laura Wade per Luchino Giordana e Ester Tatangelo. La separatezza può essere data da differenza sociale e plagio narrativo: eccoci a “Mouthpiece” di Kieran Hurley, per Maurizio Mario Pepe. Un muro che s’oppone a far chiarezza su violenze è in “The Nights” di Henry Naylor, lettura per due voci di Elena Bucci e Marco Sgrosso. Uno spartiacque tra i genitori di una bambina scomparsa e la memoria della figlia è in “The Early Bird” di Leo Butler per Massimo Di Michele. Altra parete verticale, in “Angry Alan” di Penelope Skinner per Marco M. Casazza, incombe sull’uomo stufo di sentirsi sbagliato perché uomo. Un muro si frappone tra due età e due caratteri in “Heisenberg” di Simon Stephens per Carlo Emilio Lerici. Un muro c’è fra figli ubriachi e padre tassista in “Blue Thunder” di Padraic Walsh per Mauro Lamanna. Un muro di scarti dolorosi scandisce “Hold Your Own/ Tiresias” di Kate Tempest per Giorgina Pi. Un muro divide sequestratore e segregata in “The Collector” di Mark Healy per Francesco Bonomo. Un muro tra realtà e irrealtà s’insinua in “St.Nicholas” di Conor McPherson per Valerio Binasco. Un muro di due solitudini aleggia in “Bobby & Amy” di Emily Jenkins per Silvio Peroni. Un muro di visioni da donna single gremisce “My Brilliant Divorce” di Geraldine Aron, per Lerici. Nessuna barriera, invece, tra noi e il sostegno del Ministero dei Beni Culturali e della Regione Lazio.

                                                                                                              Rodolfo di Giammarco

 

 

redazione

20 ottobre 2020

 

 

informazioni

 

23 ottobre

WALL

di David Hare

traduzione Andrea Peghinelli 

cura e interpretazione di Valter Malosti

produzione TPE - Teatro Piemonte Europa

 

Si parla tanto di muri fisici e mentali e quello che separa Israele dalla Palestina è oggetto di discussione accesa e contraddittoria.

Dopo  il  viaggio  compiuto  per  scrivere  Via  Dolorosa, David Hare è spesso tornato in Israele e in Palestina. Con Wall (Muro), ha voluto offrire uno studio penetrante sulle questioni che la barriera di separazione innalzata tra israeliani e palestinesi fa deflagrare, per analizzare ciò che succede sia da una parte sia dall’altra di quel muro. “Come in Via Dolorosa”, ha scritto Billington, “il testo è interpretato da Hare stesso ed è un esempio altrettanto avvincente di reportage, carico di umanità, nella tradizione  di James Cameron”, e ha concluso la sua recensione con l’affermazione che “in un affascinante ribaltamento di valori, guardiamo sempre più al teatro, una volta visto come fonte di evasione, per avere questo genere di riflessioni, ampiamente documentate, sullo stato del mondo”.

Si denota in Wall una scelta ben precisa: non insistere sulla violenza, ma raccontare come il muro ha violentemente modificato la regione e la quotidianità di chi abita quella terra. Partendo dall’attentato alla discoteca a Tel Aviv nel 2001 – che portò alla decisione di erigere questa lunga linea di separazione. Hare compie un vero e proprio viaggio (e di riflesso noi con lui) tra i vari check point, incontrando, tra gli altri, lo scrittore David Grossman. Assistiamo alla sua conversazione con amici israeliani sul significato e il senso di questo «recinto di separazione», così lo chiamano gli israeliani, oppure del «muro di segregazione razziale», così lo chiamano i palestinesi. Il punto di forza di Wall è che con delicatezza e incisività emerge come non ci sia nessun vincitore, da nessuna parte, anzi che il muro è «il crimine perfetto perché crea violenza» facendolo passare per un’arma di sicurezza. 

Wall di David Hare è più di una conferenza ma meno di un testo drammatico, ha luogo in un teatro […] eppure non è un dramma convenzionale, un interessante ibrido dunque, che si è ulteriormente sviluppato come progetto particolare, attraverso la particolarissima versione filmica in motion capture  (si tratta di un film d’animazione) realizzata da Cam Christiansen. 

 “Il mondo non è scontato”, sostiene David Hare, “le nostre reazioni al mondo non sono scontate. Ciò che diviene scontato è la mortale abitudine delle nostre descrizioni del mondo”.

 

 

 

26 / 27 ottobre

SLEEPLESS.

TRE NOTTI INSONNI

di Caryl Churchill

traduzione Paola Bono

con Elena Callegari e Mario Sala

video Davide Pinardi

scena e decorazioni Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini

intervento pittorico Giovanni Franzi

luci e fonica Luigi Chiaromonte, collaborazione ai movimenti Barbara Geiger

spettacolo inserito nel Palinsesto del Comune di Milano “I talenti delle donne”

regia Lorenzo Loris

produzione Teatro Out Off

con il contributo di NEXT 2019 – Regione Lombardia

 

Lo spettacolo ha debuttato a Milano al Teatro Out Off  il 14 gennaio 2020.

Tre coppie a letto. Tre brevi atti di conversazione che, con l’irresistibile, estro tragicomico di Caryl Churchill si sviluppano abilmente intorno alla paura di affrontare la vita. Tre esempi di relazioni sentimentali che testimoniano una fase di cambiamento non solo nell’ambito della vita privata ma che finiscono poi per ripercuotersi di riflesso sulle nostre attitudini sociali. La grande scrittrice con sorprendente abilità introspettiva, affidandosi a una buona dose di humor nero, riesce a ritrarre le caratteristiche che condizionano l’essere umano contemporaneo nell’ambito della coppia, che si riflettono di conseguenza sulle condizioni di vita e sulle prospettive di cambiamento sociale. Caryl Churchill ci presenta, con toni grotteschi e molto divertenti, tre coppie che sono lo specchio di una evidente difficoltà di orientamento dell’uomo e della donna del nostro tempo.

 

Note di Regia

C'è una didascalia iniziale brevissima della Churchill che accomuna i tre episodi dopo averli differenziati dal punto di vista dello spazio. Tutte e tre le scene si svolgono intorno a un letto matrimoniale è come se assistessimo dal buco della serratura, spiando all'interno di una stanza, avendo come punto di riferimento il letto matrimoniale che ritorna in tutte e tre le  vicende. Proprio il letto che dovrebbe rappresentare per la coppia il rifugio ultimo, il luogo di estrema intimità, di compartecipazione, di massima corrispondenza affettiva e spirituale, diventa il luogo più insidioso entro cui i corpi e le menti dei protagonisti finiscono per sfidarsi senza esclusione di colpi, ferendosi senza via di scampo: quasi una prigione, ovvero l'opposto del luogo sicuro e protetto. Lo spazio sembra mutare di volta in volta, sino a restringersi, e a diventare, nell'ultima scena, totalmente privo di profondità prospettica, quasi schiacciato a ridosso degli spettatori.  Tre situazioni distinte anche nel linguaggio: la prima, violenta istintiva carica di frasi volgari dove i personaggi non dandosi tregua, sovrappongono le reciproche battute che arrivano ad essere comiche ed esilaranti e cadono come fendenti una sull'altra, generate dalle viscere più profonde dei propri brutali istinti. La seconda scena, in totale contrasto con la precedente, sospesa invece su atmosfere dilatate, anche buffe, in cui i due protagonisti sembrano fantasmi generati dal sogno di due sonnambuli. E infine la terza che inizialmente ci appare una sarcastica dichiarazione di intenti fatta da due protagonisti che affermano di essere cambiati ma riprecipitano nel gorgo della loro incomunicabilità, scivolando di nuovo nei loro errori di sempre, gli stessi da cui pensavano di essersi liberati. Tre atmosfere diverse, tre notti illuminate prima in modo crudo, spietato e poi onirico, fantastico, per arrivare, nonostante sia notte buia e fonda, all'estrema verità di luci violente e abbaglianti che inondano lo spazio con la luce accecante di una giornata in pieno sole.

Lorenzo Loris

 

 

dal 29 ottobre al 1 novembre

HOME, I’M DARLING

di Laura Wade

traduzione Andrea Peghinelli

con Valentina Valsania, Roberto Turchetta, Laura Nardi, 

Luchino Giordana, Elena Callegari e Roberta Mattei

assistente alla regia Elena Lunghi

musiche Marco Vidino

coreografie jive Marco Pitorri

light designer Diego Labonia

scene Francesco Ghisu

costumi Ilaria Capanna

video e post produzione Michele Bevilacqua

comunicazione Francesca Melucci
regia Luchino Giordana ed Ester Tatangelo

compagnia pupilunari / produzione Hermit Crab

coprodotto con Teatro del Carro e Compagnia Dracma

prodotto grazie al contributo del Nuovo Imaie

testo Vincitore del Laurence Olivier Award 2019

 

Judy e Johnny vivono in una deliziosa villetta anni '50, completa di tutti i comfort che l'epoca può concedere. Judy volteggia per la casa con le sue splendide gonne a ruota dalle fantasie sgargianti, mentre si occupa delle pulizie e dei fantastici manicaretti che prepara per il suo Johnny. Siamo nei magnifici anni '50! Ma poi, da un cassetto Judy tira fuori un laptop e così scopriamo che la casa, i vestiti e quella vita perfetta sono una messa in scena. Piano piano la carta da parati si scolla, rivelando la realtà delle cose: Judy, manager di successo, ha deciso di abbandonare il competitivo mondo della finanza per diventare una casalinga perfetta anni '50, trascinando il consapevole Johnny in un gioco che precipita entrambi in un'anacronistica divisione dei ruoli, uomo/donna, confinati in un piano di realtà immaginario. Home, I'm darling ci racconta un estremo rifiuto del mondo contemporaneo, ci riporta all'origine di quella fuga, e alla sua evoluzione, illustrando la forsennata calibratura degli equilibri che regolano il rapporto tra uomo e donna, al ritmo di un jive.

Note di regia 

Gli uomini e le donne dei '50 nell'immaginario comune hanno i volti del cinema hollywoodiano, si aggirano in ambienti glam, dal design curato e le maniglie tirate a lucido. Elettrodomestici di ultima generazione sono presenti in tutte le case, sembra non esistere la povertà nei favolosi anni '50. Ma dietro i sorrisi smaglianti, i nastri colorati tra i capelli freschi di shampoo e le automobili ultimo grido, si nasconde la disperazione dei sopravvissuti. Gli anni '50 sono la reazione alla Seconda Guerra Mondiale, la reazione di un Occidente segnato da una ferita così distruttiva e recente da dover essere rimossa. Si guarda avanti, ci si abbandona alla vita, per scuotere via le sanguinose macerie della Guerra, nella certezza che qualcosa d'incredibile arriverà a cambiare in meglio le vite di tutti. Ma questi sono anche gli anni in cui si acuisce il conflitto razziale e cresce la paura per l'altro, inteso come straniero o semplicemente diverso, sono gli anni della Guerra Fredda. Sotto la patina del paradiso domestico, si muove un'inquietudine esistenziale, collera, sfiducia nel futuro. Perché Judy e Johnny, figli del XXI secolo, scelgono gli anni '50 come ambientazione della loro fuga dalla contemporaneità? Judy, manager qualificata, abbandona il mondo della finanza perchè non sopporta le gerarchie, la competizione sfrenata, il sessismo del mondo del lavoro. E sceglie come rifugio un'epoca che ha fatto di questi precetti un codice sociale, che fonda i suoi cardini sul ruolo della casalinga perfetta. C'è un'inquietudine profonda che attraversa il salotto di Home, I'm darling: sotto le vesti di Doris Day, Judy nasconde una donna inquieta che rimanda all'autodistruzione di Blanche DuBois (Un tram che si chiama desiderio). E Johnny la segue. Questa è la grande invenzione di Laura Wade: una storia di complicità domestica, rappresentata sotto la lente della commedia, ci permette di osservare, attraverso la distanza temporale, l'angoscia che emerge dal divario di genere, tutt'ora irrisolto, ieri come oggi. Home, I'm Darling riesce a porre domande inattese su ciò che le donne, e gli uomini, desiderano nel XXI secolo, sulla natura dell'equilibrio da instaurare per azzerare il gap tra i sessi, e su come alcuni desideri, quelli più profondi di dialogo e integrazione, potrebbero essere realizzati. 

Ester Tatangelo e Luchino Giordana 

Spettacolo prodotto in Italia grazie al contributo del Nuovo Imaie

“Home, I'm darling di Laura Wade è stata co-prodotta dal Theatr Clwyd e dal National Theatre e ha debuttato il 25 giugno 2018, regia di Tamara Harvey al Theatr Clwyd. L’opera è stata poi trasferita al Duke of York’s Theatre di Londra il 26 gennaio 2019. “

 

 

 

dal 2 all’8 novembre

MOUTHPIECE

di Kieran Hurley

traduzione Natalia di Giammarco

con Paola Minaccioni e Edoardo Purgatori

scene e costumi Nicola Civinini

sound design Lorenzo Benassi

foto di scena e video Manuela Giusto
 regia Maurizio Mario Pepe

produzione Khora.Teatro / Compagnia Mauri-Sturno

in collaborazione con La Forma dell’Acqua

 

Perché sicuramente è nobile voler essere una voce per chi non ne ha una, eh. Finché non scoprirai che i senza voce, ce l’hanno una cazzo di voce e potrebbero volerla usare.” 

Edimburgo.
Salisbury Crags. Crepuscolo.
Una donna fa un passo nel vuoto. Un ragazzo la tira indietro.
Due vite sono cambiate per sempre. 

Libby trascorre le sue giornate nei caffè di New Town e si definisce ancora una scrittrice. Declan è un giovane artista di talento, alle prese con una vita familiare instabile. Mentre creano un’amicizia scomoda, complicata dalle loro differenze sociali e culturali, Libby riconosce l’opportunità di rimettersi in carreggiata e fare davvero la differenza. 

“Lei ha bisogno della storia di Declan. Ma ha il diritto di appropriarsene?” 

Schietto, deciso e intriso di un umorismo inaspettato, Mouthpiece esplora due parti diverse della stessa città, che coesistono l’una all’insaputa dell’altra. L’urgenza narrativa di Mouthpiece si rispecchia nell’attualità dei conflitti che i due personaggi vivono, ponendoci inevitabilmente di fronte a una domanda: è possibile raccontare la storia di qualcun altro senza però sfruttarlo allo stesso tempo? 

Dal pluripremiato autore scozzese di Beats (Soho Theatre e film per il cinema), Kieran Hurley torna a teatro con l’acclamato Mouthpiece. Lo spettacolo debutta al Traverse Theatre durante il Festival di Edimburgo (2018) e poi al Soho Theatre di Londra nel 2019. 

La compagnia la forma dell’acqua torna per il quarto anno consecutivo a TREND dopo i successi di pubblico e critica Killology (2018), Furniture (2019) e Fuorigioco| The Pass (2017) in scena anche al Piccolo Eliseo nella stagione 2018/2019. 

 

Note di Regia 

Il testo di Kieran Hurley affronta due temi: la disuguaglianza sociale e la responsabilità artistica.
Che responsabilità ha un artista nei confronti delle persone reali di cui racconta la storia?
È una vecchia domanda, ma sempre attuale soprattutto nella società di oggi abituata a consumare storie di vario genere, come in un fastfood: dai gossip dei vip, ai reality per finire con i collegamenti tv in zone difficili, il tutto diretto a tempo di pubblicità da mandare in onda quando il climax è al massimo. 

Il gioco intelligente e compassionevole di Kieran Hurley va al cuore della questione. Questa è la storia di Libby, una drammaturga scozzese di mezza età, depressa, di classe media, che supera il blocco dello scrittore appropriandosi della voce di Declan, un giovane della classe operaia, infestato da ansie, povero e con un talento per il disegno. Declan è sottile come un guscio d'uovo, è fragile come un pulcino ed è sempre presente il rischio che la vita lo schiacci in un attimo. 

Libby sembra offrirgli la salvezza attraverso l'arte, nutrendo il suo talento artistico per il disegno e attraverso l'opera che lei inizia a scrivere su di lui. Ma l’Autore non si limita a renderla un'ovvia, tragica storia di sfruttamento: in tutto, Mouthpiece ricorda esplicitamente al pubblico la struttura e i tempi previsti, e necessari, della narrazione teatrale. Libby si rivolge spesso al pubblico, impartendo piccole lezioni sulle regole della scrittura - dove hai bisogno di conflitto, quando dovrebbe esserci un capovolgimento di fronte. Quindi, mentre la storia si muove attraverso i suoi inevitabili alti e bassi, siamo preparati per quanto accadrà e diventiamo più circospetti. 

Mouthpiece è commovente, cupamente esilarante – e ci conduce verso l’appetitoso epilogo che bramiamo - e allo stesso tempo ci chiede in modo intelligente perché vogliamo quel finale...
La vita non ci dà mai finali netti; le persone sono infinitamente più complicate e inaspettate, ci ricorda Hurley. 

Maurizio Mario Pepe 

 

 

9 novembre

THE NIGHTS

una lettura in musica per due voci

di Henry Naylor

traduzione Natalia di Giammarco

drammaturgia sonora Raffaele Bassetti

lettura in musica 

di Elena Bucci e Marco Sgrosso

produzione Le Belle Bandiere

con il sostegno della Regione Emilia Romagna

 

“Mi guardi negli occhi. Chi è lei?”

 

Premiato all’Adelaide Fringe, Naylor si conferma con quest’opera capace di una scrittura graffiante, che in un crescendo di suspense evoca risvolti di una denuncia che non lascia spiragli all’ambiguità. 

In occasione del dibattuto caso della sposa dell’Isis Shamina Begun, come da un buco nella memoria del passato emergono contrapposte le figure di Jane Fitz Carter, intraprendente giornalista islamofobica, e del Capitano Kane, mercante di memorabilia militari reduce da un passato avvolto in un omertoso buio. 

Decisa a sfruttare l’opinione di un ex-eroe di guerra contro “un’estremista jihadista che odia l’Ovest, la giustizia liberale e la stampa libera”, Carter si impegna in un’intervista da cui affioreranno scenari inquietanti che riguardano valori come identità, idealismo, eroismo, patria e l’incidenza del pensiero etico nella gestione della propria esistenza, mentre si aprono domande che ci riguardano tutti: la violenza va combattuta con una violenza gemella? la vendetta è una soluzione al male? si può credere alla limpidezza del mito? è possibile sfuggire a ciò che si è? In uno spazio disegnato da luci essenziali, due leggii diventano i luoghi di Carter e di Kane, ma anche di testimoni assenti e di fantasmi presenti, nello scorrere di una partitura nella quale le voci si intrecciano alla musica e dove la concretezza della parola sfiora per qualche attimo la poesia segreta che scorre in ogni vita.                                                                                

                                                                                                                                              Elena Bucci e Marco Sgrosso

 

SINOSSI:

Come da un buco nella memoria, emergono le figure di Jane Carter, giornalista islamofobica, e del Capitano Kane, mercante di memorabilia militari reduce da un passato avvolto in un omertoso buio. Carter si impegna in un’intervista da cui affiorano scenari inquietanti che riguardano valori come identità, idealismo, eroismo e patria, mentre si aprono domande che riguardano tutti noi: la violenza va combattuta con la violenza? la vendetta è una soluzione al male? si può credere alla limpidezza del mito? è possibile sfuggire a ciò che si è?

 

 

 

 

 

dal 13 al 16 novembre 

THE EARLY BIRD / L’UCCELLINO DEL MATTINO

di Leo Butler

traduzione Enrico Luttmann

con Valentina Corrao e Roberto Marra 

scrittura Gestuale Dario La Ferla 

canto a cura di Elena Polic Greco 

disegno luci Emanuele Lepore

 assistente alla regia Daniel Pistoni

 regia, scene e costumi Massimo Di Michele 

produzione SmartIt

Si ringrazia ADDA - Accademia D'Arte del Dramma Antico, Siracusa

 

Nel mondo spariscono 8 milioni di bambini ogni anno, 22 mila al giorno, 1 milione i bambini che scompaiono in Europa. In Italia scompare un bambino ogni 7 giorni. 

È questo il terreno, doloroso e difficile, in cui Leo Butler si addentra con L’uccellino del mattino, in cui l’attualità viene rielaborata e studiata attraverso i canoni della ricerca artistica. Basato su un testo scarno e allo stesso tempo lirico, lo spettacolo è imperniato sul dialogo tra Debby e Jack, genitori di una bambina scomparsa. Più che un dialogo, un flusso di coscienza che scorre magmatico sullo sfondo di un tempo immobile, paralizzato da un dolore totalizzante, in cui tra brusche virate di registro e scambi tra personaggi, i due protagonisti si rincorrono, litigano, si trasformano in altro, accecati dal bisogno e dal dovere di trovare un possibile colpevole. 

Butler seziona l’argomento declinandolo in mille prospettive, offrendo al pubblico una visuale ricchissima, popolata da una moltitudine di situazioni e personaggi impersonati dai due genitori. Amore e rancori si mescolano fino ad essere indistinguibili, in questo unicum emotivo morso da varie rabbie. Che toglie il respiro. 

Come in un ingranaggio rotto, il tempo è bloccato, ha annichilito ogni possibile futuro. Sì è fermato sul volto dei due giovani interpreti, entrambi ventenni, in quel giorno da cui non si può più scappare, prigionieri di un circolo vizioso di domande che non troveranno risposte. 

 

 

 

 

 

 

dal 19 al 22 novembre

ANGRY ALAN

di Penelope Skinner

traduzione Marco M. Casazza

diretto e interpretato da Marco M.Casazza 

assistente alla regia Barbara Enna

produzione La Contrada – Teatro Stabile di Trieste

 

“…Ok nel pomeriggio c’è la sessione sugli uomini vittime di violenza domestica e a seguire il secondo intervento di Angry Alan: false accuse di stupro

poi pausa caffè

e a fine giornata una sessione di gruppo sul riappropriarsi del proprio potere maschile!”

Roger è stufo marcio di sentirsi sbagliato in quanto maschio. Il suo matrimonio è andato a rotoli. La multinazionale per cui lavorava come dirigente lo ha messo in esubero senza tanti complimenti. Sul sito web di Angry Alan, leader del Movimento per la Difesa dei Diritti degli Uomini trova risposte semplici alle questioni complicate che gli affollano il cervello. 

Al maschio americano tartassato dalle statistiche sugli stupri e da quella che definisce una Società Gino-centrica, Alan “l’incazzato” offre finalmente messaggi positivi, una riscossa fiera e rabbiosa.

Ma per Roger il destino ha in serbo un ennesimo, ironico colpo basso…

 

 

 

 

 

 

dal 26 al 29 novembre

HEISENBERG

di Simon Stephens

traduzione e adattamento Carlo Emilio Lerici

con Antonio Salines e Francesca Bianco

regia Carlo Emilio Lerici

produzione Teatro Belli

 

"Noi due stiamo facendo la cosa più strana che possano fare due persone?" 

Nella confusione di una affollata stazione ferroviaria di Londra, Georgie vede Alex, un uomo molto più vecchio di lei, e lo bacia sul collo. 

Da questa scintilla prende il via un affascinante dialogo, quasi una sfida, dove le incerte e spesso comiche schermaglie tipiche delle relazioni umane diventano brillante materia teatrale.

Questa sfida, però, cambierà per sempre la loro vita. 

Il titolo fa riferimento al fisico atomico Werner Heisenberg, conosciuto per il "principio di indeterminazione", ovvero l'idea che possiamo misurare con precisione sia la velocità di una particella subatomica che la sua posizione, ma non contemporaneamente.

Lo spettacolo è stato commissionato dal Manhattan Theatre Club di New York dove ha debuttato nel giugno 2015, e ha avuto la sua “prima europea” proprio a Trend, nella quattordicesima edizione. 

Ad interpretare Heisenberg di Simon Stephens sono Antonio Salines e Francesca Bianco, coppia storica del Teatro Belli, diretti da Carlo Emilio Lerici che ha curato anche la traduzione e l'adattamento.

Un’occasione per scoprire uno dei più importanti autori contemporanei britannici.

 

 

 

 

 

 

1 / 2 / 3 dicembre

BLUE THUNDER

di Padraic Walsh 

traduzione Maurizio Mario Pepe

con Marco Cavalcoli, Mauro Lamanna, Gianmarco Saurino

organizzazione generale Pietro Monteverdi

regia Mauro Lamanna 

produzione Divina Mania

 

SINOSSI

“La mia vita è quella in cui si ha paura che succeda qualcosa e poi succede".

1 taxi. 3 uomini. 40 minuti per salvare una famiglia.

Sono le 3 del mattino in una piccola città dell'Irlanda. Il nightclub è chiuso e Brian non prenderà altre corse fino a domani. Ma, quando i suoi figli ubriachi si presentano chiedendo un passaggio a casa, diventa chiaro che la notte è appena iniziata. Avviene tutto nel suo taxi. Stasera Brian e i suoi due figli parleranno di come sistemare le loro vite mentre, in piena fame chimica, mangiano il loro cibo spazzatura da asporto.

L'opera teatrale di Padraic Walsh, fortemente coinvolgente, pone una lente di ingrandimento su una famiglia ormai in frantumi della media borghesia irlandese. Divertente e straziante a fasi alterne, Blue Thunder esamina i concetti di virilità, di salute mentale, e cosa succede quando la vita non va secondo i piani.

NOTE DI REGIA

Quando pensa alla parola casa, ogni uomo pensa a una cosa diversa: a una casa diversa.
Questa parola, oggi abusatissima, contiene in sé una complessa rete di significati, i quali, nonostante la loro forza, possono sparire e nascondersi sotto la polvere della routine, dell’incomprensione e dell’indifferenza.

Il contrario di casa è allontanarsi.

Un minibus - taxi non è nient’altro che un mezzo di trasporto, ma se le sue pareti possono custodire anime in tumulto, che cercano il coraggio di avvicinarsi, di incontrarsi davvero, se pure per qualche breve e intensissimo minuto, anche questo mezzo può trasformarsi in casa.

Nel confronto con la potente opera di Padraic Walsh, il tentativo è quello di ricostruire, con le sue complessità e contraddizioni, un luogo dell’intimità, un’invisibile e accogliente casa capace di contenere, per il tempo che ci è dato, le vite faticose dei nostri tre personaggi, e le metta in sincera relazione: un’utopistica architettura familiare.

 

4 / 5 dicembre

HOLD YOUR OWN/Tiresias, B side

lettura scenica a cura di Bluemotion dal testo di Kate Tempest

traduzione Riccardo Duranti

regia Giorgina Pi

con Gabriele Portoghese e Giulia Weber

ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai

luci Andrea Gallo

produzione 369gradi/Angelo Mai/Bluemotion

 

Non si impara.

Si ricorda.

Kate Tempest

Il lavoro sulla figura di Tiresia continua. Seguendo la voce di Tempest vorremmo continuare a condividere in teatro i suoi versi. Il nostro precedente lavoro Tiresias è tratto dal poemetto iniziale del libro Hold your own/Resta te stessa. Vi è poi nel volume una seconda parte. Se nella prima, tutto d’un fiato, viene ripercorsa la vicenda delle tante vite di Tiresia all’interno della sua lunga vita, qui si respira profondo e con la lente che ingigantisce le piccole cose si assaporano i dettagli, si ingrandiscono gli istanti. Infanzia, vita di donna, vita da uomo e cecità sono i quattro quadri in cui si muovono queste poesie. A tratti sembra di lavorare ancora sui materiali di Tiresias, sulle parti poi escluse per essere accolte altrove. Si scorgono le intelaiature di nuove forme pur appartenenti allo slancio del poemetto iniziale e ci si perde dentro, così come nelle suadenti e dolorose pagine in cui ci si immerge nel dono intimo di un diario.

Un lato b del nostro viaggio sul veggente dalle tante vite, sulla donna che non ha mai smesso di essere, sullo sguardo mai perduto, su Tiresia che continua a parlarci. Vorremmo allora condividere questo per noi irrefrenabile motore umano, concederci una lettura di poesie ad alta voce che Gabriele e Giulia metteranno a disposizione di chi vorrà aggiungersi a loro.

 

 

 

dal 10 al 13 dicembre

THE COLLECTOR 

di Mark Healy

dal romanzo di John Fowles

traduzione Giorgio Lupano

con Giorgio Lupano e Beatrice Arnera

video Andrea Canepari 

luci e fonica Patrick Vitali

regia e impianto scenico Francesco Bonomo

produzione a.ArtistiAssociati

L’incontro 

Il progetto, come spesso accade, nasce proprio in uno dei tanti camerini dei teatri Italiani, dove si condividono le aspirazioni e le urgenze professionali. Il Collezionista di Mark Healy ha risposto fin da subito a due sfide che avevamo deciso di affrontare: da un lato un banco di prova per i due attori protagonisti e dall’altro la trattazione di un tema che a noi preme da sempre, vale a dire la violenza sulle donne o più in generale il conflitto di genere. 

 

La trama 

Frederick Clegg è un uomo schivo con la passione dell’entomologia: il suo unico interesse è catturare e collezionare farfalle. Ha da qualche tempo notato Miranda, una giovane e affascinante studentessa d’arte, una ragazza tanto vitale e luminosa quanto lui è anonimo e ombroso. Dopo una fortuita vincita alla lotteria che lo rende ricchissimo, decide di comprare una vecchia casa isolata, di riadattare il seminterrato ad appartamento e di rapire la ragazza; è convinto che stando da sola con lui imparerà a conoscerlo e quindi ad amarlo. 

 

Note di regia 

La necessità di mettere in scena questo testo risiede nella sua capacità di risuonare dentro di noi come un fatto di cronaca. La violenza del rapporto tra carnefice e vittima è tutta psicologica e, per metafora, rappresenta la guerra di genere che in ambiente domestico è causa di morte o maltrattamenti perpetrati dagli uomini sulle donne. Abbiamo voluto, dunque, evidenziare quello che l’autore già suggerisce nel presentare il personaggio del rapitore come un uomo comune, qualcuno che potrebbe essere il nostro vicino, qualcuno a cui riconoscere in qualche modo le ragioni del suo gesto insensato, tanto da farci dubitare della nostra stessa integrità etica. Frederick Clegg non percepisce sé stesso come un criminale o un mostro: egli agisce -a suo dire- per amore e decide di segregare Miranda poiché non ha altri strumenti per avvicinarla; è un uomo che sembra non avere interessi al di fuori della sua collezione; isolato e in una sorta di cattività è “semplicemente” incapace di relazionarsi con il prossimo. Miranda al contrario, è un personaggio multiforme, capace di adottare le strategie più diverse per salvarsi la vita. In questo senso abbiamo inteso sintetizzare in lei le molte forme di resistenza che le donne attuano quotidianamente in ambiente domestico e in generale nella società. Per riuscire nell’intento di rendere questi personaggi degli archetipi, tutto il lavoro è stato impostato a spogliare il testo di connotazionI temporali o geografiche trasformando la scena in un non-luogo dove si combatte una guerra senza tempo per la sopravvivenza. 

 

Francesco Bonomo 

 

 

 

14 dicembre

ST.NICHOLAS

di Conor McPherson 

traduzione Anna Ashton Parnanzini

reading agìto e a cura di Valerio Binasco

Trilly Produzioni

Una cosa è l’umanità minuscola e anonima che il dublinese Conor McPherson instilla nel 1997, a ventisei anni, nei racconti più o meno astratti e fantasmatici cui ricorrono coloro che s’incontrano in un pub, dentro “The Weir” (La chiusa), che m’è familiare perché l’ho messo in scena, e un’altra cosa è il lato oscuro di un critico di teatro, il confine tra il naturale e il soprannaturale, che McPherson conia nel corso dello stesso anno, scrivendo il monologo “St. Nicholas”. Il testo che ho già diretto apparteneva al genere dei Winter’s Tales, questo cui do personalmente voce oggi discende, per le parti fantastiche, da Poe, da Coleridge, da Le Fanu. Non mi dispiace calarmi nei panni di un recensore che, munito di immaginazione e affabulazione, incline alle ossessioni, è pronto a esaltare o distruggere l’opera che vede. Una figura di padre di famiglia che a Dublino si scopre infatuato di un’attrice, l’accompagna a casa «con Chaucer e Milton seduti dietro, nella macchina, che si divertivano un mondo», disposto poi a seguirla nella tournée londinese della compagnia di cui la ragazza fa parte, per trovarsi avventurosamente nelle mani, lì, di una congrega di strani e mimetizzati vampiri, in un’altalena di realtà e irrealtà, sottoposto ai traffici notturni del dandystico e succhiasangue William. Sensibilità, fascinazione, allucinazione, sudditanza, repulsione. Ne deve aver saputo bene qualcosa Bram Stoker, inventore di “Dracula”, anche impresario teatrale, anche critico. Conor McPherson scelse di dirigere lui stesso “St. Nicholas” nell’intimo spazio del Bush Theatre, a Londra. E ora, qui, ho scelto io di imprestare le voci a questo testo, davanti a voi.

 

                                                                                                     Valerio Binasco

 

 

 

 

 

 

dal 16 al 19 dicembre

BOBBY & AMY

di Emily Jenkins

traduzione Natalia di Giammarco

con Petra Valentini e Mauro Lamantia 

regia Silvio Peroni

produzione 

Khora.Teatro / Compagnia Mauri-Sturno

 

Siamo alla fine degli anni Novanta: Take That, Tamagotchi e caramelle alla frutta. Quando Bobby e Amy, entrambi di 13 anni, si incontrano, centinaia di mucche punteggiano i campi e il sole splende sempre ma quando l'afta epizootica colpisce le comunità agricole nell'Inghilterra rurale, le mucche iniziano a morire e la sonnolenta città di Cotswold deve affrontare una catastrofe che cambierà la loro vita per sempre. Due attori interpretano il colorato mix di personaggi - esattamente 18 – della cittadina di provincia, trasformando la banale realtà quotidiana in un paesaggio onirico, poetico e nostalgico. Dal proprietario di un bar al farmacista, dai genitori ai bulli della scuola. Un affresco di vite e storie che gravitano attorno ai due protagonisti Bobby e Amy. Entrambi emarginati; Bobby non riesce a sviluppare interazioni sociali, Amy si è chiusa in sé stessa dopo la morte del padre. Queste due solitudini sono destinate ad incontrarsi e quando si uniranno per aiutare un contadino nel suo lavoro, la vita in due diventerà un po’ più facile. Bobby & Amy parla di amicizia, forse d’amore ma soprattutto di quello che succede quando il nostro modo di vivere è minacciato da chi non lo capisce.

 

 

 

 

 

20 / 21 dicembre

MY BRILLIANT DIVORCE

di Geraldine Aron

traduzione Carlo Emilio Lerici

con Francesca Bianco

e con (video)

Susy Sergiacomo (la Madre) 

Fabrizio Bordignon (Vikram)

Martina Gatto (Eileen)

Germano Rubbi (Max / Palla-da-biliardo)

Antonio Palumbo (Warren)

regia video Enzo Aronica 

regia Carlo Emilio Lerici

produzione Teatro Belli

Come si fa a sopravvivere con ironia ad un divorzio e come si fa a reinventarsi la vita, da single, a cinquant’anni? Ce lo racconta Angela (Francesca Bianco), la protagonista di questa commedia brillante. La vicenda prende inizio quando Max (soprannominato Palla da Biliardo), ha da poco lasciato Angela per una giovane amante argentina. Come se non bastasse anche sua figlia se ne è andata di casa, per andare a vivere con il fidanzato. Ma prima di andarsene le ha rivelato che le scappatelle del marito andavano avanti ormai da parecchio tempo, e che lei era l'unica a non saperlo. Rimasta sola, con l’unica compagnia del suo cane Jack, Angela deve imparare a fare i conti con la sua nuova condizione di “single involontaria”. Alternando la rabbia nei confronti del marito traditore, attimi di gioia per la libertà ritrovata, la speranza per un’eventuale riconciliazione e la riluttanza nel firmare le carte per il divorzio, Angela ci fa ridere e commuovere mentre racconta le sue avventure per ricostruire la propria vita; dalla help line telefonica per aspiranti suicidi alla visita in un sexy shop, passando per appuntamenti con uomini improbabili e pacchetti vacanze per single. Il tutto accompagnato dai fuochi d'artificio che scandiscono il passare del tempo.

Una trama semplice, ma assai frequente nella vita di molte donne, che si cala con leggerezza nei temi della solitudine, di come un genitore debba affrontare la separazione dai propri figli diventati grandi e di come una donna, che si è sempre vista come moglie e madre, improvvisamente debba ricostruire una propria dimensione personale, libera da questi ruoli tradizionali. Un racconto al femminile che molto ci dice di come la società vede le donne singles, contornato da voci e personaggi della vita di Angela, in parte interpretati dalla stessa Angela e in parte presenti nei video con i quali la stessa Angela dialoga.

 

 

 

 

 

CICLO PROIEZIONI TREND LIVE

 

ingresso gratuito

Riprese video effettuate da Balloons Production

24 ottobre ore 18.00

 

MEN IN THE CITIES

di Chris Goode

traduzione Noemi Abe

con Giulio Forges Davanzati

regia Silvio Peroni

 

Men in the cities di Chris Goode è un’esplorazione cruda ed emotiva di ciò che significa essere un uomo in Gran Bretagna oggi. Incorniciato da due morti violente – il suicidio apparentemente inspiegabile di un giovane uomo gay e l’omicidio del batterista Lee Rigby fuori dai Royal Artillery Barracks di Woolwich nel maggio 2013 – Men in the cities è un avvincente monologo sul male e la complicità, e sulle forze che determinano le nostre relazioni. Attraverso istantanee frastagliate di vite apparentemente scollegate, Chris Goode ci presenta un racconto provocatorio ma radicalmente umano su come viviamo oggi, un ritratto scuro e sfrenato della virilità moderna e dell’enorme effetto frammentario della vita cittadina.

10 novembre ore 18.00

 

YELLOW MOON

di David Greig

traduzione Jacopo Gassman
con Rosario Lisma, Marina Occhionero, Luca Tanganelli e Giulia Trippetta

mise en espace a cura di Mario Scandale

 

Yellow Moon racconta la storia di Lee e Leila, due adolescenti che vivono in una piccola città della Scozia. Lee è un ragazzo difficile e violento, ossessionato dal suo berretto da baseball, ultimo regalo del padre prima di abbandonare la famiglia. Leila, introversa figlia d'immigrati musulmani fuggiti da qualche guerra degli anni '90, è quella che potremmo definire una brava ragazza. I due si incontrano per caso in un negozio e da lì parte la loro fuga dalla legge. Infatti Lee quella sera ha pugnalato il fidanzato della madre. Decidono così di fuggire in montagna, seguendo le orme del padre scomparso di Lee. In questa fuga, Lee e Leila si confronteranno con il loro destino e scopriranno l'amore per la prima volta. 

 

11 novembre ore 18.00

 

I <3 ALICE <3 I

di Amy Conroy

traduzione Natalia di Giammarco

con Ludovica Modugno e Paila Pavese

mise en espace a cura di Elena Sbardella

 

Due donne. Alice e... Alice. Alice Slattery e Alice Kinsella. Sono cresciute insieme. Si sono perse e dopo vent'anni riabbracciate. La loro è una vera storia d'amore. Scopriremo queste due vitali e stralunate settantenni alle prese con un temerario coming out. Le attrici Ludovica Modugno e Paila Pavese, per la prima volta insieme sul palcoscenico, saranno le protagoniste di questa mise en espace diretta da Elena Sbardella. Il testo della Conroy è una breve e coinvolgente tragicommedia: un atto unico in cui sono sapientemente alternati momenti di deliziosa comicità e delicatissime sospensioni drammatiche.

 

11 novembre ore 21.00

 

 A GIRL IS A HALF-FORMED THING

di Eimar McBride

traduzione Natalia di Giammarco

con Elena Arvigo

a cura di Giuliano Scarpinato e Elena Arvigo

 

Lo spettacolo ci parla con un linguaggio diretto - a tratti persino disturbante - del travaglio relazionale tra una giovane donna e suo fratello, facendo originale uso di una scrittura in flusso di coscienza priva però di astrazioni od orpelli poetici ma invece quanto mai manuale e pratica. Spietato e oggettivo come una sventurata radiografia, il testo spinge l’intimità – disordinatissima, sconcertante ma profondamente sensibile – di una protagonista sempre più in discesa dentro quel guscio elettrico di una metropoli che non è sfondo, ma concede il diritto, a un urlo screanzato. Il “rumore” è quello di una persona non ancora compiuta, ma sformata, scomoda nel suo essere, direttamente o indirettamente, reietta. Un apparecchio difettoso.

 

 

 

17 novembre ore 18.00

 

THE MATCH BOX

di Frank McGuinness

traduzione Carlo Emilio Lerici

con Francesca Bianco

regia Carlo Emilio Lerici

 

Come può una madre far fronte all’assassinio della figlia dodicenne? Questa è il doloroso interrogativo al centro di questo monologo di Frank McGuinness.In un casale desolato su un’isola al largo della costa della Contea di Kerry, in Irlanda, una donna, Sal, passa il suo tempo accendendo fiammiferi e guardandoli bruciare. “Trovo qualcosa di piacevole nell’odore di zolfo”, dice. Sal racconta di come sia arrivata in Irlanda, rivelando una storia fatta di lutto, dolore, forza, ed infine, irrimediabile senso di colpa. Sua figlia Mary, appena dodicenne, ha perso la vita durante uno scontro a fuoco tra bande rivali, in cui si è ritrovata per caso. I colpevoli, mai sottoposti a processo, sono morti in un incendio doloso. 

 

17 novembre ore 21.00

 

A GAMBLER’S GUIDE TO DYING 

di Gary McNair

traduzione Natalia di Giammarco

con Stefano Patti

regia Giampiero Rappa

 

Il titolo del testo di Gary McNair ha un duplice significato. Il giocatore è il nonno scozzese del narratore, un uomo che verosimilmente ha piazzato una scommessa vincente sul risultato della vittoria dell’Inghilterra nei mondiali del 1966. Quando gli viene diagnosticato il cancro piazza un’altra scommessa: contro ogni aspettativa avrebbe vissuto fino al nuovo millennio. Ma il titolo si riferisce anche a qualcos’altro: siamo tutti giocatori e scommettiamo sul fatto che vinceremo la morte e riusciremo a raggiungere una sorta di immortalità attraverso i nostri geni e attraverso le storie che raccontiamo ai nostri figli e nipoti. 

6 dicembre ore 18.00

 

REVOLT SHE SAID. REVOLT AGAIN 

di Alice Birch

traduzione 

Francesco Petruzzelli e Lavinia Carpentieri

con Lavinia Carpentieri, Barbara Chichiarelli e Carlotta Mangione

regia Francesca Caprioli e Giacomo Bisordi

 

Testo composto e rappresentato nel 2014, fautore di ampi dibattiti nel Regno Unito e ove fosse messo in scena, Revolt. She said. Revolt again. è un furioso impianto drammaturgico che prova ad indagare il ruolo della donna nell’Occidente del XXI secolo. Alice Birch pone l’attenzione sul linguaggio, il comportamento e tutte quelle forze che vanno ad innervare la condizione femminile contemporanea. E pone una domanda: cosa impedisce alle donne di reagire in modo radicale contro una società che le condiziona in modo così implacabile?

6 dicembre ore 21.00

 

IN THE NIGHT TIME 

(BEFORE THE SUN RISES) 

di Nina Segal

traduzione Emiliano Russo

con Marcello Gravina e Diletta Masetti

regia Emiliano Russo

 

Un neonato piange. Una bottiglia si rompe. Una finestra va in frantumi. Vi siete mai chiesti se fare un figlio sia un atto di grande responsabilità o di puro egoismo? Considerati il costante bombardamento dei titoli dei giornali e le notizie di tragedie umane, di catastrofi naturali e sugli scontri politici globali, possiamo davvero giustificare la volontà di due persone di mettere al mondo un bambino? Con In the Night Time (Before the Sun Rises), Nina Segal ci mette davanti, in maniera allucinatoria, alle paure di una coppia che decide di avere il primo figlio. 

 

8 dicembre ore 18.00

 

EN ATTENDANT BECKETT

percorso multimediale ideato da

Glauco Mauri e Roberto Sturno

 

Una serata omaggio a Beckett per offrire al pubblico un approfondimento sull’opera del grande autore irlandese, con poesie, brani letterari e con il capolavoro L’ultimo nastro di Krapp e il non meno celebre Atto senza parole. Nello stupito, grottesco silenzio di Atto senza parole l’uomo beffato e ingannato dalla vita, che sembra sempre soccorrerlo, ma poi sempre lo delude, trova la sua commovente dignità nel rifiuto e nella voluta solitudine. In questo breve atto si può chiaramente comprendere la visione beckettiana dello scontro tra l’uomo e la vita.

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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