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Recensione del concerto con voce recitante Mittente: Wolfgang Amedé Mozart all'Aula magna de La Sapienza il 22 ottobre 2016.
Mozart, Wolfgang Amedeus Mozart. Un enfantes prodiges. Un genio che ha trovato riscontro nel 900, in altro campo musicale, forse solo nel jazz con Charlie Parker (ma già inizio a intraprendere il tortuoso sentiero della profanazione che rasenta la blasfemia).
Ma al di là del mito e dell'alone di leggenda che, dopo quasi due secoli e mezzo, sempre più l'avvolgono, in realtà Mozart chi era? Un interrogativo che può sembrare banale, ma in realtà non lo è.
A dare una risposta non tanto ai nostri dubbi ma alla nostra curiosità ci pensano il Trio d'Archi di Firenze e la voce narrante di una guest star non proprio d'eccezione, Tullio Solenghi.
Infatti questo suo lavoro col Trio "d'Archi" nasce da una serie di coincidenze particolarmente fortuite: Lui aveva appena finito la tournée teatrale dell'Amadeus di Shaffer, dove interpretava il vecchio Salieri, e Patrizia Bellotti all'oscuro di quest'ultimo suo lavoro gli propose un esperimento che connubiava musica e parola, dove la prima è rappresentata dal Divertimento in mi bemolle maggiore K 563.
Tullio Solenghi entusiasmato dalla questa "particolare" proposta si mette all'opera recuperando parte del lavoro teatrale appena fatto e operando un lavoro di ricerca nel copioso corpus di materiale epistolario di Wolfgang.
Nasce così a distanza di qualche mese l'affascinante ibrido a cui abbiamo assistito il 22 ottobre all'Aula Magna de La Sapienza.
Seguendolo abbiamo scoperto che Mozart non solo era figlio del compositore tedesco Leopold Mozart ma aveva anche una sorella maggiore, dall'eguale smisurato talento, Maria Anna detta Nannerl e che il padre consapevole del potenziale di entrambi li portava in giro per le Corti e i Teatri europei ad esibirsi, come una sorta di Mozart Zwei (A ciascuno il suo, a noi del XX secolo ci son toccati i Jackson 5 invece). E così il piccolo Mozart che se l'è cercata mettendosi a scrivere musica e a suonare in tenerissima età con tanto di cognizione di causa viene fatto esibire come uno scimmietto: suona il fortepiano con grande talento e perizia tecnica (A Napoli dove non si smentiscono mai iniziarono a urlare che tanto genio musicale fosse dovuto all'anello che portava al dito) riconosce la posizione di qualsiasi nota sullo spartito e la fondamentale di qualsiasi rumore (Si narra a tal proposito che al grugnito di un maiale rispose, giustamente, Sib).
Dopo un infanzia del genere da adulto, Mozart, come poteva non sviluppare una tendenza comportamentale che oggi definiremmo bipolare o addirittura schizofrenica?
Sempre di buon umore, pare che fosse fenomenale ad improvvisare, e che diventasse intrattabile solo se lo si disturbava quando era alla tastiera, dai registri linguistici svariati che nei rapporti più confidenziali sfociavano nell'innocuo turpiloquio più volgare, amava fare scherzi (a tal proposito si racconta un aneddoto che vede come vittima l'anziano Haydn dover fare i conti con una partitura ineseguibile) e provocazioni. Furono proprio quest'ultime a portarlo lentamente alla rovina sempre più oppresso dai debiti perché ostracizzato dagli ambienti musicali a lui contemporanei nonostante la sua, già all'epoca, indiscussa grandezza.
S'ìnnamorò di una giovane soprano, Aloysia Weber, seconda delle quattro figlie di un copista di musica di Mannheim, che al di là di sfruttare la sua fama per farsi strada a gomitate nel mondo artistico non se lo filerà mai minimamente e il delusissimo Mozart, che era stato iniziato al mondo delle donne e alle arti amatorie da una cugina, fu costretto a ripiegare sulla sorella di lei Constanze.
Di quale male sia realmente morto non si sa, sfatiamo quindi la leggenda alimentata anche dal testo teatrale di Shaffer e dal film di Milos Forman poi. Dai dati dedotti a posteriori dai carteggi di familiari e amici si potrebbe dire che sia stato un avvelenamento da piombo, ma col senno di poi non se ne può essere per nulla certi. Ironia della sorta vorrà che il suo funerale si svolga in una giornata di pioggia torrenziale e che l'unico a seguirlo al cimitero sarà il suo cane che lo vedrà gettare in una fossa comune.
Tutto questo e molto altro ancora lo scopriamo tra l'esecuzione di un movimento e il successivo del Divertimento summenzionato. Sei movimenti che dividono e scandiscono la brevissima (soltanto 35 anni) eppur intensissima vita di Mozart in sei parti ben distinte e delimitate.
Il Trio d'Archi di Firenze apre la serata con l'esecuzione di un minuetto, una trascrizione da partitura per clavicembalo, composto da Mozart all'età di soli 5 anni! Da qui si dipana una serata che prosegue con quest'anomala opera nel corpus della produzione del compositore austriaco, perla di rara bellezza formale e musicale, l'unico divertimento per trio d'archi da lui mai composto. Era l'Anno Domini 1788, Mozart aveva 32 anni, volgeva quindi inconsapevole al finire della sua sfolgorante vita, l'Impero Asburgico era in piena crisi economica, una crisi dovuta alle ingenti spese effettuate per sostenere la guerra contro i Turchi, e in debito sia economico sia di riconoscenza verso il suo più grande e affezionato creditore, dedica la composizione al ricco commerciante Michael Puchberg.
Patrizia Bettotti, Pier Paolo Ricci e Lucio Labella Danzi con la loro esecuzione fanno ammutolire il pubblico che affascinato, sconvolto emotivamente e travolto dalla bellezza della musica non può fare altro che trattenersi dall'applaudire prima del dovuto. L'esecuzione è di ottimo livello e le note che traggono da violino, viola e violoncello, che spesso ritroviamo in atmosfere sonore che tendono alla mestizia, alla nostalgia e alla tristezza d'animo, in questo caso, anche grazie alla struttura dell'opera composta di Allegri, Minuetti e Allegretti, ci trasportano in un mondo interiore fatto di una serenità complessiva che però deve fare i conti con vere e proprie punte di violenta drammaticità. Un continuo gioco di luci e ombre in bilico tra il registro drammatico e il gioiosamente spensierato.
Ovviamente alla fine di tutto applausi a non finire e quindi non poteva mancare un bis d'eccezione: l'incipit della scena II dell'atto II di Romeo e Giulietta accompagnato da una trascrizione per archi di una delle Variazioni Goldberg di Bach (e anche qua per sfatare un altro mito pare che siano state commissionate al compositore turingio da tale Signor Goldberg perché soffriva d'insonnia).
Mittente: Wolfgang Amedé Mozart
Tullio Solenghi voce recitante
Trio d'Archi di Firenze
Violino Patria Bettotti
Viola Pier Paolo Ricci
Violoncello Lucio Labella Danzi
Damiano Rosa foto
Fabio Montemurro
25/10/2016