Presentazione de Il sentimento della lingua: l’italiano tra presente e passato di Luca Serianni e Giuseppe Antonelli il 21 ottobre 2019 al Teatro Piccolo Eliseo
Il teatro Eliseo e la storia della lingua italiana: apparentemente due ambiti distanti, ma in realtà per una sera più che connessi. Da una brillante intuizione di Luca Barbareschi, direttore artistico del Teatro Eliseo, è nato questo connubio. L'attore e regista, che ha introdotto l’evento, ci ha raccontato del primo invito al suo teatro, al noto linguista e grammatico italiano Luca Serianni. Dopo cinque anni da questo incontro, l'ex docente di Storia della lingua italiana alla Sapienza, insieme al suo ex allievo Giuseppe Antonelli, oggi docente ordinario di linguistica italiana all’Università di Cassino, hanno scelto un teatro per “conversare” in modo disinvolto ma puntuale di storia della lingua italiana e delle sue strutture sintattiche e grammaticali, in una prospettiva diacronica. L’occasione ci è data dalla presentazione dell’ultimo lavoro condotto insieme in 4 giorni, Il sentimento della lingua, edito da Il Mulino.
Grande affluenza di pubblico, ma non solo di specialisti del settore. Le ragioni di questo richiamo sono ravvisabili nella notorietà del professor Serianni e del suo collega, nonché collaboratore in molti suoi progetti. Si tratta di stima consolidata e conseguita negli anni per le docenze universitarie, le collaborazioni con l’Accademia della Crusca e dei Lincei, con la Treccani e per le varie edizioni di manuali di grammatica e linguistica di Luca Serianni che hanno conosciuto grande diffusione. Una tale notorietà si è sviluppata anche grazie alle sue doti di divulgatore che permettono, anche a chi non è del settore, di comprendere il “controllo scientifico” della lingua, intesa come controllo della forma in base a regole ben precise.
La formula scelta per l’evento è la conversazione (come recita il sottotitolo del libro), o meglio un’intervista da parte di Antonelli a Serianni che risponde con eleganza e soprattutto con sottile ironia e autoironia. Si discute di storia della lingua come disciplina inizialmente sconosciuta allo stesso Serianni, del rapporto col suo “maestro” Castellani, dell’impresa titanica inerente la prima grammatica scritta nel 1988 con Bruni: un lavoro estenuante di un anno, che oggi l’autore definisce prova d’incoscienza”. Secondo Serianni, la forma è un elemento essenziale ed è sostanza in senso aristotelico, per cui non si può derogare dal rigore delle regole e dalla sua correttezza. Tuttavia non è possibile utilizzare sempre lo stesso registro linguistico, che va adeguato ai contesti, per cui è naturale e forse necessario variare tra più registri, riportandoci con la consueta ironia. Un esempio è la madre che quando parla davanti ai bambini, risulterebbe fuori luogo se usasse un registro troppo elevato e poco comprensibile ai figli. Per cui forma controllata e flessibilità risultano complementari e non si escludono a vicenda. Settore d’interesse del nostro autore è da sempre anche la scuola che rimane per certi aspetti “conservatrice” riguardo, in particolar modo alla trasmissione delle regole ortografiche e grammaticali, che invece si evolvono innegabilmente in base all’uso. Esempi sono l’introduzione dei termini femminili “ministra”, “sindaca”, indice delle trasformazioni sociali in corso fino a pochi decenni fa impensabili per una donna. Ma lingua è lo specchio di una società ed è imprescindibile ritrovare in essa i segni dei suoi cambiamenti. Infine Antonelli sollecita il professor Serianni, in modo quasi provocatorio, a riflettere sulla presenza degli anglicismi nella nostra lingua, che in passato non aveva vissuto, a differenza di molti linguisti e grammatici italiani, come un pericolo. Oggi però anche Serianni si sente preoccupato dall’introduzione di interi corsi di studio e di scuole esclusivamente in inglese, che risulterebbe una grave perdita per il nostro patrimonio linguistico e per la nostra identità.
Operazione culturale interessante e di grande richiamo che ha conseguito un notevole successo dall’incontro tra il teatro e una riflessione sulla storia della lingua italiana. La scelta della conversazione si rivela ben riuscita e la competenza, la chiarezza, l’eleganza e l’ironia dei protagonisti hanno conferito quel valore aggiunto che ha reso fruibile anche ad un grande pubblico un tentativo che rischiava di rimanere relegato ad una nicchia di spettatori specializzati in materia e a pochi interessati.
Mena Zarrelli
24 ottobre 2019