Intervista ad un vocal coach italiano richiesto in tutto il mondo, per cercare di conoscere una professione quasi sconosciuta ai non addetti ai lavori
Nel mondo dell’opera lirica esistono alcune figure importantissime, poco note per i non addetti ai lavori, dato che operano dietro le quinte, ma che sono determinanti per la formazione dei giovani interpreti: i vocal coach.
Fra questi si sta distinguendo un tenore italiano: Massimo Iannone, impegnatissimo in audizioni e masterclass in mezzo mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, da Londra a Parigi, da Barcellona a Berlino; in giuria di diversi premi, come per esempio il prossimo ‘Concorso lirico Davide Gaetano’; coinvolto da anni, nella cornice prestigiosa di Torre del Lago, alla Puccini Festival Accademy,; protagonista per ‘Fondazione Incanto’ di una interessante masterclass in Nicaragua.
Pluripremiato, fra gli altri ricordiamo il ‘Premio Caruso’ ed ’Una vita per la Musica’ dell’Associazione Mattia Battistini, che fra qualche mese lo vedrà in giuria all’omonimo concorso, ha un pubblico di fedelissimi giovani cantanti che, nell’impossibilità di incontrarlo di persona, lo segue via web, dove elargisce ascolti e consigli a coloro che lo contattano.
Un vero ‘vocal coach globe trotter’, come gli piace definirsi, della musica, fra audizioni, giurie di concorsi e corsi di perfezionamento.
Di rientro da una masterclass ad Orlando, negli Stati Uniti ed in procinto di partire per la sua prima esperienza in Giappone, con anche un appuntamento alla Suntary Hall Accademy a Tokjo, lo incontriamo e cerchiamo di conoscere meglio lui e la sua professione, mentre sta preparando un concerto dedicato a Stravinskij.
Buongiorno, Maestro, grazie di aver accettato di sottoporsi a questa intervista, con la quale vorremmo far conoscere meglio una professione di grande importanza, ma anche far capire che per svolgere con successo un simile ruolo è necessario aver maturato una grande esperienza sul campo, possedere una solida tecnica, ma anche una grande capacità empatica, una sensibilità fuori dal comune ed il coraggio e la modestia di donarsi per il successo degli agli altri .
Lei ha dimostrato già da giovanissimo un marcato interesse per la musica. Com’era l’atmosfera musicale a casa sua quando era bambino? Era da subito interessato al canto o prima ha suonato degli strumenti?
Fin da bambino mi sono interessato al canto. Avevo meno di dieci anni ed ero attratto magicamente dalle opere in televisione. Da li il passo successivo è stato entrare nel coro della chiesa della mia città. Poi sono diventato voce solista e dà è iniziato il viaggio che adesso mi porta in giro per il mondo
I suoi familiari l’hanno appoggiata oppure erano spaventati da una scelta professionale così faticosa?
In effetti all’inizio i miei genitori erano un po’ spaventati da una professione così ricca di incertezze. Oltretutto mia madre sognava un figlio laureato. Quando, però, hanno visto la mia passione hanno capito che per me era impossibile non seguire il mio sogno. Ho debuttato giovanissimo: il primo concerto a meno di diciotto anni e da quella volta sono diventati dei veri fan, mi hanno seguito in Italia ed in alcune trasferte all’estero. Oltre che moralmente, mi hanno anche sostenuto economicamente, perché prima di entrare in Conservatorio a Napoli andavo a lezione di canto e pianoforte privatamente e per pagare tutte quelle lezioni hanno dovuto fare sacrifici notevoli. Quando poi mi sono diplomato, mi hanno permesso di frequentare preziosi corsi di perfezionamento, offrendomi il meglio che potevo sperare.
I suoi studi sono legati a tre figure fondamentali per la storia della lirica: Ettore Campogalliani, Arrigo Pola e Alfredo Kraus. Indubbiamente grandi voci, gigantesche personalità, forte carisma. Ma anche tre persone che sembrano molto diverse fra loro. Ha qualche ricordo particolare legato a loro?
Sono stati incontri determinanti per la mia vita e mi fa piacere ricordarli con un piccolo aneddoto vissuto in prima persona.
Da Ettore Campogalliani ho studiato per tre anni. Andavo ogni quindici giorni a lezione e per me quell’esperienza era inebriante, perché per quella casa erano passati tutti i grandi, da Pavarotti alla Tebaldi, da Bergonzi alla Freni. Oltre ad andare da lui a Mantova, cercavo di recarmi a tutte i vari corsi di perfezionamento che faceva in giro per l’Italia ed ogni tanto avevo l’opportunità di fargli da assistente: gli porgevo gli spartiti dei brani che avrebbero eseguito gli studenti. Di solito, prima di ogni pezzo mi guardava e mi chiedeva: ‘Massimo, cosa canta questo ragazzo?’ successe che una volta uno studente giapponese doveva eseguire ‘Ingemisco’, solo che io commisi l’errore di mettere lo spartito al contrario . appena mi accorsi mi precipitai per girarlo ma il Maestro, cha all’epoca aveva già più di ottanta anni, stava già suonando perfettamente a memoria. Quando me ne resi conto non potei non commuovermi.
Arrigo Pola è stata un’altra figura fondamentale per tutta una serie di suggerimenti tecnici fondamentali. Le sue lezioni erano anche di due ore, ma era sua abitudine invitare quattro o cinque tenori contemporaneamente e questo era molto stimolante. Ricordo fra tutte le volte che studiai fianco a fianco con il bravissimo Vincenzo La Scola.
Di Kraus mi piace ricordare il nostro primo incontro. Avevo voglia di farmi sentire e per raggiungerlo gli chisei di poterlo intervistare come giornalista. Contatto l’ufficio stampa, mi fissano un appuntamento a Firenze, vado, lo incontro, lo intervisto ed alla fine, arrivato alla porta, mi metto a braccia divaricate, blocco l’uscita, lo guardo e gli dico: ‘Maestro, sono qui in veste di giornalista, il pezzo uscirà, ma in realtà io ho frequentato una sua masterclass e volevo farmi sentire da lei. O mi ascolta oppure io non la lascio uscire.’ Il Maestro si divertì molto al mio proclama, mi ascoltò, fu anche molto gentile nel giudizio: ‘ finalmente qualcuno che ha capito quello che volevo dire nella mia masterclass.’ Da quello strano incontro nacque un bel rapporto e per tre anni ci vedemmo per delle lezioni, ovviamente concentrate in brevi periodi perché Kraus era sempre impegnatissimo.
Lei è figura poliedrica, impegnato in tantissimi ambiti: ha avuto successi come solista; è un apprezzato vocal coach; ha firmato tanti articoli come giornalista pubblicista; ha ottenuto brillanti risultati come produttore ed è stata una delle punte di diamante dell' ensemble ‘Voci Italiane’. Dopo aver conseguito tanti successi ed aver goduto di importanti esperienze internazionali, come ricorda i suoi esordi , peraltro legati ad un repertorio raffinato, per certi versi persino elitario come quello settecentesco?
Per quel che mi riguarda, già prima dell’esordio, ero affascinato dalla musica barocca ed avevo un vero trasporto per Bach, del quale ascoltavo l’intero repertorio con grande passione. Quasi naturale, a quel punto, il passaggio alla musica settecentesca, che si addiceva molto bene alle caratteristiche della mia voce, che agli esordi, avevo circa vent’anni, era molto chiara.
Del mio debutto ricordo tanta paura. Ero terrorizzato, ma anche determinato a godermelo fino in fondo: ricordo il piacere del nome sulla porta del camerino, i genitori che erano venuti ad ascoltarmi…. Un ricordo bellissimo, che tengo nel cuore e che ogni tanto affiora. Qualche tempo fa ero a Barcellona per una masterclass ed una ragazza si presentò con un’aria del ‘Giulio Cesare’ di Haendel . Sentirla, ritornare con il pensiero ai miei esordi e sciogliermi in pianto è stato un tutt’uno.
Sicuramente l’esperienza maturata nel coro dell’Accademia di Santa Cecilia è stata preziosa. Vuole condividere con noi qualche ricordo che giudica prezioso? Incontri che hanno segnato la sua carriera?
Ho lavorato per trentasei anni all’Accademia di Santa Cecilia ed è stata una straordinaria esperienza, con incredibili incontri, come Bernstein, Carlo Maria Giulini e tantissimi altri, per elencare i quali sarebbe necessario un libro, più che un’intervista.
Mi piace ricordare il primo incontro con Giulini, grandissimo artista ed uomo di enorme signorilità. Entrò nella grande sala, si diresse verso le voci femminili ed esordì con: ‘Gentili Signore, mi date il permesso di togliermi la giacca?’ una frase ricca di eleganza, di una signorilità d’altri tempi che solo un grandissimo poteva avere. Non parliamo poi dei suoi spartiti: erano ricoperti di annotazioni, segni, piccoli, grandi, quasi dei geroglifici, tutto per mettere in rilievo i segni dinamici della partitura: i veri grandi non inventano nulla, m hanno il dono di riuscire a portare in evidenza tutte le sfumature che il compositore voleva.
Negli anni il suo repertorio si è molto allargato, arrivando fino alla musica contemporanea. adesso quali sono i compositori che sente più vicini alla sua sensibilità?
La verità è che per me l’autore che preferisco è quello che sto studiando in quel momento. Quando affronto un brano, per cantarlo o per insegnarlo, il rapporto fra me e quella pagina diviene totalizzante. La musica entra nel mio mondo e non esiste altro in quel momento.
Lei ha varcato le porte di moltissimi teatri , in Italia e nel mondo. Ci sono dei luoghi cui lei si sente particolarmente legato?
Ci sono tantissimi posti a cui sono legato. Sicuramente mi ha fatto caso quando alla Royal Albert Hall, per il ‘Guglielmo Tell’ diretto da Pappano, ho visto gli appassionati con il sacco a pelo trascorrere la notte all’addiaccio per poter acquistare dei biglietti a prezzo ridotto. Uno spettacolo magico, con mezz’ora di applausi a chiudere uno spettacolo che già era durato cinque ore. Sensazioni che non si possono dimenticare, come anche mi fa piacere ricordare due episodi con l’Ensemble ‘Voci Italiane’.
Il primo si riferisce a quando abbiamo cantato per centenario alla Filarmonica di Praga. Durante lo spettacolo la sala era avvolta da un silenzio assoluto, ma alla fine esplose una vera e propria ovazione che mi fa venire la pelle d’oca.
In Costarica, invece, a fine spettacolo fummo sommersi dai fiori. Sono episodi straordinari, che regalano emozioni indimenticabili.
Una curiosità: come si pone di fronte alle regie moderne? Crede che realmente danneggino lo spettacolo, come sostiene il pubblico più tradizionalista, oppure crede che certe trovate, come Don Giovanni che conclude a Salisburgo l’opera cantando nudo, possano offrire degli spunti interpretativi interessanti?
Per rispondere mi sposto nel campo della pittura. Amo moltissimo i dipinti di Rosso Fiorentino. Se questo autore fosse stato rigidamente legato alla tradizione, oggi non avremmo le opere del più geniale dei pittori de suo tempo, capace distaccarsi dal rigore formale per entrare in una dimensione interiore, per dare forma ai suoi pensieri, alla sua anima. Allo stesso modo, per le regie moderne non sono contrario a priori alle innovazioni. Dipende da caso a caso. Ho visto spettacoli moderni coinvolgenti ed io stesso ho partecipato ad un ‘Fidelio’ in bianco e nero di Abbado di grande bellezza, ma è necessario che le innovazioni, le trasformazioni, la visionarietà siano frutto di un lavoro che parte dalla conoscenza della musica e dal rispetto per la partitura.
Lei è un apprezzatissimo vocal coach. Che tipo di rapporto si viene a creare fra lei ed i suoi allievi? Come si pone nei loro confronti? il suo lavoro è prettamente vocale od interviene anche con un supporto motivazionale?
Prima di tutto chiariamo che il vocal coach non va inteso come un maestro di stampo tradizionale che ti fa studiare gli spartiti. Il mio ruolo è differente, sono chiamato a coinvolgere, motivare, il trainer che ti aiuta nell’allenamento vocale, ma anche a controllare la mente e successivamente ad aprire il cuore, condizione necessaria per affrontare un personaggio od un brano. In questo sono sicuramente sostenuto dall’essere buddista.
Mi piace anche dire che il rapporto con gli allievi è divertente, allegro, ma anche molto rispettoso. Con un affetto quasi paterno da parte mia nei loro confronti e con il dovuto riguardo verso di me da parte loro.
Nota differenze fra gli studenti italiani e quelli stranieri, non solo del punto di vista vocale ma anche nell’atteggiamento e nella modalità di affrontare parti e spartiti? Quali sono le principali difficoltà che i suoi allievi del Sol Levante devono affrontare?
Il rapporto con gli studenti stranieri è fantastico, ma naturalmente ci sono differenze fra loro ed i cantanti italiani. In maniera più specifica, i ragazzi giapponesi sono decisamente particolari: educatissimi, riservatissimi, molto controllati negli atteggiamenti corporei, da un lato evidenziano un grande rispetto che non può che affascinare, ma dall’altro mettono in difficoltà l’insegnante perché questo loro modo di porsi appare monolitico, quasi glaciale. Per loro è difficilissimo fare uscire le emozioni, mostrare il cuore. Ma una volta che riescono a superare questa specie di blocco, riescono ad essere spettacolari, regalano un caleidoscopio di emozioni, sono liberi, immediati. Scoprono in loro un aspetto ‘napoletano’ che non può che far piacere. A loro ed a chi li guarda.
Uno dei ruoli più prestigiosi della sua carriera è quello di essere da anni il vocal coach dell’’Accademia Pucciniana del Festival di Torre del Lago. Come descriverebbe questa esperienza?
L’esperienza alla Puccini Accademy è l’esperienza più bella della mia vita, non solo dal punto di vista professionale ma anche da quello umano. La Puccini Accademy ha una lunga tradizione.
Vi hanno insegnato la Freni, Panerai, la Kabaiwanska, Magda Olivero. Poterci lavorare mi ha molto arricchito professionalmente. Ma anche umanamente, aiutare dei giovani talenti a tirare fuori il loro talento, lavorare con loro per oltre due mesi, permette di maturare rapporti affettivi profondi, che vanno ben oltre l’aspetto meramente professionale.
L’ Accademia ha confermato la mia partecipazione anche all’edizione di quest’anno, che si svolgerà a maggio.
Approfitto per invitare tutti coloro che fossero interessati a consultare il nuovo bando. Ci sarà una prima selezione attraverso dei video e poi una di persona. Chi verrà accolto avrà la possibilità di salire sul palcoscenico del teatro, debuttare dei ruoli, sentire l’emozione del pubblico in sala: lo scorso anno ci sono stati ventisette debutti ed anche quest’anno contiamo che tantissimi giovani vivano le emozioni di tutte le fasi della messa in scena di un’opera lirica.
La sua carriera la vede spesso fare la spola fra l’Italia e l’America, dove si è esibito come cantante, ma soprattutto ha saputo farsi notare come apprezzatissimo vocal coach. Come descriverebbe la sua esperienza americana?
Il mio sogno da ragazzo era di andare almeno una volta negli Stati Uniti . Sono stato molto fortunato, me lo ripeto spesso, perché ho visitato spessissimo qual paese, prima andando a cantare, adesso come vocal coach. Ho lavorato a Miami, a San Francisco, a New York ed ho toccato con mano sia la straordinario organizzazione degli americani nel campo dello spettacolo, sia la grande stima che gli americani nutrono nei confronti della cultura del nostro paese.
Ci sono stati episodi in cui si è sentito un autentico rappresentante dell’Italia?
Mi è accaduto in diverse occasioni, la l’episodio che più mi ha commosso è accaduto in Costarica. Alla fine di un concerto di musica sacra mi si è avvicinata una signora in lacrime che mi ha detto che aveva portato con se il figlio perché, anche se non avevano mai visitato il nostro paese, potesse capire, attraverso la musica italiana, che cos’è la Bellezza.
Ci sono invece degli aneddoti che coinvolgono personaggi popolari che ha incontrato negli USA?
Un aneddoto inedito e divertente si è svolto a Miami. Eravamo ospiti di un lussuosissimo albergo, ed io, la mattina dl giorno del concerto, vado nella palestra ad allenarmi. Vicino a me c’era una ragazza, carina e simpatica e mentre entrambi facevamo ginnastica ci siamo messi a parlare . poco c’è mancato che non le spiegassi che ero un cantante, un tenore italiano, che cantavo quella sera e la invitassi allo spettacolo. Lo avrei fatto sicuramente perché si era creata una bella sintonia, ma intervenne una delle cantanti dello spettacolo che producevo, Patrizia Roberti, che entrata in palestra mi guarda con occhi sgranati, mi tira in disparte e mi dice: ‘ Ma hai capito che ti stai allenando con Janet Jackson, la sorella di Mickael?’ . Quando ho raccontato ai miei nipoti cosa mi era successo, mi hanno subito regalato i dischi della Jackson.
Ci sono differenze fra il modo di vivere l’opera in Italia e negli Stati Uniti?
L’opera è nata in Italia, è il genere più articolato e completo e secondo me è l’espressione artistica più bella e completa per trasmettere l’idea di Italia nel mondo. Certi aspetti, però, sono propri degli italiani: per esempio il lavoro sulla parola che possono fare gli stranieri è completamente diverso da quello degli italiani, per tradizione, dizione, pronuncia.
In questo periodo alcuni grandi musicisti classici sono scesi in campo contro le star nostrane del rock. Cosa pensa di queste polemiche? Esistono realmente delle fratture fra i generi musicali?
In linea di principio non sono contrario alle commistioni fra generi, purchè avvengano nel rispetto delle caratteristiche dei singoli generi. L’opera va fatta dal vivo, senza microfoni. Altrimenti, come diceva Del Monaco, vale il discorso che sotto la doccia o con il microfono tutti ci sentiamo Caruso. La vera emozione, il vero coinvolgimento ti vengono dati dal vivo, nel posto giusto, nella corretta situazione. Naturalmente il discorso è differente per un cantante di musica pop, che ha bisogno di microfono, amplificazione, effetti speciali, che male si adattano al mondo dell’opera. Benissimo gli eventi una tantum, ma poi ognuno per la sua strada, nel rispetto delle specificità di ognuno.
Che musica ascolta nel tempo libero? Sempre e solo classica, od esiste anche una play list decisamente meno accademica?
In realtà, vivendo nella musica, mi piacerebbe anche stare nel silenzio. Ma il mio compagno ama la musica e quindi anche a casa non mi ci posso sottrarre. Per fortuna lui è una persona di una straordinaria sensibilità, che mi sveglia al suono della Netrebko o della Callas e poi, pian piano, mi conduce a Mina ed a Madonna. Al di là di tutto a me la musica piace tutta, dalla Streisand a Mariah Carey, con una predilezione per Cher, che non vedo l’ora di andare a vedere dal vivo.
Giochiamo sporco: se non fosse Massimo Iannone, quale tenore vorrebbe essere?
Ammiro tantissimi tenori, perché da tutti i grandi c’è sempre da imparare: Kraus, Carreras, Pavarotti. Però le due figure che più ho mitizzato sono Mario Del Monaco e Franco Corelli, che mi affascinano per la bellezza della voce, per la tecnica. Sono incantato dal colore virile delle loro voci, dalla loro tecnica, con magnifici chiaro scuri, dallo squillo brillantissimo, ma soprattutto dalla grande energia che sapevano portare in scena.
Cosa le piacerebbe vedere scritto di lei?
Mi piacerebbe leggere di me che sono un onesto artigiano della musica, che si sta dedicando ai giovani, donando tutte le energie per l’amore per la musica, nella speranza di lasciare un segno in difesa dei valori musicali, insomma mi piacerebbe si parlasse id me come di una persona buona.
Invece cosa le dà più fastidio?
Mi da’ fastidio il costume della nostra società di cercare degli scheletri degli armadi per giustificare il successo delle persone. Invece io credo che alla fine ognuno raccolga i frutti del proprio lavoro e dei propri meriti, che nessuno sia dov’è per caso.
Come si pone nei confronti delle recensioni che parlano dei suoi allievi? Soffre con loro o riesce ad essere saggio e porre delle distanze ?
Preparo i miei allievi ai successi ed agli insuccessi, perché, dico loro, non si può piacere a tutti.
Si potrebbe prendere le distanze dagli eventuali insuccessi, ma allora bisognerebbe farlo anche con i successi, mentre io invito tutti a gioire di tutto quello di cui si può gioire, gustare il bello che questo mestiere ci propone, gustando ogni occasione per essere felice, senza pretendere di essere infallibili.
Quali sono i prossimi impegni?
Continuo i miei cicli di master class ed audizioni in giro per il mondo ed aspetto con gioia l’inizio della Puccini Accademy. In futuro spero si concretizzino alcuni progetti anche in Messico, paese che ancora non avevo raggiunto.
Infine, ringraziando per la disponibilità e la cortesia, quali i suoi sogni?
La mia vita è già la realizzazione del mio sogno e quindi già adesso mi sento un uomo davvero fortunato.
Gianluca Macovez
4 marzo 2023
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foto di Manolo Greco