Venerdì, 22 Novembre 2024
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RUN, la corsa come metafora. Intervista a Barbara Caridi e Claudia Salvatore

RUN, dal 6 al 9 aprile 2017 in scena al Teatro Studio Uno 

Barbara Caridi e Claudia Salvatore, regista e attrice. Da poco sono andate in scena al Teatro Studio Uno di Torpignattara, una delle realtà più vivaci del panorama teatrale romano, con RUN.                                      

“Un moto rivoluzionario, il tentativo di sostenere il proprio sguardo”. Così viene presentato uno spettacolo che indaga, senza presunzione, il movimento come azione non solo estremamente pratica, ma come concetto e motore di vita.                    

Durante una chiacchierata informale abbiamo parlato del loro intenso e ben costruito spettacolo. Un atto performativo dilungato con una sua coerenza che presto tornerà a girare nei circuiti romani e non solo. Continuiamo a far parlare, dunque, di queste due giovani talentuose e del senso di unione e squadra che han permesso di assaporare durante la visione del riuscitissimo spettacolo.

 

Andato in scena allo Studio Uno e pronto per girare ancora. Da dove nasce l’intuizione dello spettacolo?

B.C. Lo spettacolo nasce dalla necessità di indagare le reali motivazioni che spingono un atleta a praticare questa disciplina. Siamo partite da noi, dalla nostra esigenza di portare avanti questa passione smodata. E siamo arrivate alla conclusione che la corsa puo’ essere una pratica spirituale, qualcosa che assomiglia ad un mantra , a un richiamo. La corsa evoca dall’abisso sconfinato dell’essere quegli elementi che giacciono spesso sepolti dentro le nostre essenze primordiali. Se di intuizione possiamo parlare, ecco, sia io che Claudia abbiamo da subito intuito che c’è qualcosa di “grosso” in questo tentativo di superarsi e di superare dei limiti.

 

Avete intrecciato una pluralità di elementi, storici, artistici, diversi linguaggi, tra i quali il performativo. Che tipo di ricerca hai condotto Barbara e come sei riuscita a far convivere tutti i dati in maniera così omogenea?

B.C. Abbiamo passato un anno circa a raccogliere materiale. Non ho una formazione strettamente teatrale. Ho sempre utilizzato piu’ linguaggi per realizzare i miei lavori perché ritengo che non tutto possa essere espresso pienamente solo attraverso un codice; direi che questo lavoro per me ha significato questo: utilizzare un intercodice. Non mi pongo mai limiti. L’omogeneità è un puro accidente nel senso che non me la pongo come obiettivo. Accade. Probabilmente l’omogeneità che tu vedi è il risultato di una pluralità linguistica che ha alla base un concetto e un’idea ben precisa di quello che voglio dire. Tecnicamente ho iniziato, dopo la raccolta di materiale, a montare lo spettacolo come fosse un film. Tagli secchi e una ricerca estetica che come riferimenti ha l’espressionismo. L’opera di Roberto e Guido ha esaltato notevolmente questo aspetto ed è non solo parte integrante del tutto ma una delle protagoniste in scena insieme a Claudia. Di fondo Claudia non è mai sola c’è sempre “qualcuno” con lei. Come quando corri…sei solo…ma non lo sei mai del tutto.

Claudia, la corsa fa parte della tua vita, la pratichi anche a livello agonistico e si percepiva quanto fossi immedesimata e integrata sulla scena.  Quanto ti è servito lo spettacolo nell’indagare il tuo rapporto con questo sport o, se vogliamo, con l’arte del correre?

C.S. Il mio rapporto con la corsa ha origini lontane, il significato che ha assunto nella mia vita  è cambiato nel tempo e cambia continuamente, passando attraverso fasi anche dolorose e anche attraverso momenti di conflitto e distacco, ma non ho utilizzato lo spettacolo per indagarlo, allo spettacolo ci siamo arrivate con una già acquisita consapevolezza di ciò che volevamo comunicare, di ciò che abbiamo scoperto e raggiunto attraverso la corsa. Nella corsa ho trovato delle risposte, delle richieste e dei bisogni, la chiara necessità di voler continuare e di voler condividere.    

 

Claudia e Barbara, prima collaborazione insieme? Com’è stato il lavoro di coppia?                                 

C.S. Secondo tentativo. Il primo è stato BE HERE al quale siamo molto legate entrambe e che è stato presentato come studio ma è ancora in lavorazione. Il lavoro di coppia poi è stato fantastico. Ci capiamo subito. A volte ci scontriamo, ma poi vince sempre quello che ci sembra più giusto in scena. Dunque siamo entrambe molto attente a non affezionarci troppo alle nostre idee di partenza. Siamo molto diverse ma c’è una vena in cui scorre qualcosa di molto vitale e consonante, ed è quella vena che ci attraversa entrambe.

 

Altri progetti in cantiere?

B.C. Troppi. Ma per ora volgiamo concentrarci su RUN che ha assoluto bisogno di andare in scena e di essere rielaborato durante un percorso che speriamo di costruire nei prossimi mesi.

 

Erika Cofone

26 aprile 2017 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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