Il regista e protagonista dello spettacolo Essere Don Chisciotte in scena al Teatro Flaiano dal 21 novembre al 1 dicembre 2019, racconta le sue scelte drammaturgiche in questa nuova versione visionaria del capolavoro di Cervantes con Maurizio Castè, Lina Bernardi, Eleonora Cardei, Giovanni Sorrentino, Giordano Luci, Ariela La Stella, Antonio Maria Duccilli
Come ti sei diviso tra il triplo ruolo di regista, scrittore e interprete dello spettacolo?
Non è stato facile. Sicuramente il ruolo più difficile è stato quello di drammaturgo perché, dopo aver rappresentato Don Chisciotte più volte nel corso della mia carriera, questa volta ho sentito l’esigenza di fargli dire qualcosa in più. È stato importante per me partire da ‘altro’: non volevo che Don Chisciotte fosse solo l’hidalgo spagnolo che tutti conoscono ma, attraverso l’antefatto iniziale, volevo che rappresentasse anche qualcosa di diverso per lanciare un messaggio al pubblico. Anche il ruolo di regista è sempre complesso: il regista-attore tende a dirigere per il 90% gli altri e riesce a dedicarsi al proprio personaggio affidandosi all’occhio esterno degli aiuto-regista, come lo è stata in questo caso Eleonora Cardei. È un doppio ruolo che ho già affrontato diverse volte come nel ‘Dr Jekill and Mr Hide’ o nel ‘Caligola’: è molto faticoso ma porta grandi soddisfazioni.
Il sipario si apre mostrando una situazione scenica ben diversa da quella attesa dal pubblico…
Sì, l’azione si svolge in questa Parigi inventata perché funzionale all’operazione che volevo compiere, ovvero di creare una sorta di parallelismo tra il mondo reale e quello di Cervantes attraverso il rapporto che instaurano tra loro i due clochards e quello che vediamo svilupparsi tra Don Chisciotte e Sancho Panza. I clochards quando vivono in due tendono a controllarsi a vicenda e sono rassicurati dalla reciproca presenza dell’altro così come Don Chisciotte e Sancho: l’uno è la controparte dell’altro con cui ci si confronta perché ne rappresenta un po’ la coscienza, il buon senso, il vissuto. Mi sono concentrato su un lavoro di teatro nel teatro proprio perché vi era la necessità di raccontare anche altro oltre al Cervantes che tanto amo.
Cervantes critica la società spagnola attraverso il personaggio di Don Chisciotte: anche tu, in modo simile, hai voluto far lo stesso in questo spettacolo?
Sì esatto. La mia critica alla società odierna è impersonificata dai due clochards: mentre il Don Chisciotte clochard si dispera per la morte del suo compagno, intorno a lui nessuno si accorge del suo dramma, restano tutti indifferenti al suo dolore proprio come accade nella realtà di tutti i giorni. Gli ultimi non vengono mai considerati come esseri umani davanti alle tragedie che li coinvolgono, il mondo va avanti anche senza di loro e senza batter ciglio.
In scena appare, però, un personaggio che prova compassione per loro: perché hai scelto proprio Amélie?
Ho mutuato questo personaggio dal cinema per la sua empatia e l’ho voluto inserire nel contesto dandole un ruolo chiaro perché mi serviva questo tipo di carattere per poter creare un collante tra la storia dei due clochards e quella più prettamente donchisciottesca. Oggi l’essere umano sembra non provare nessun sentimento di empatia verso gli altri, per questo ho introdotto Amélie, è stata una sorta di mia personale Maga Urganda: come lei aiuta Don Chisciotte a superare le avversità con i suoi elisir, così Amélie dà vita al personaggio facendolo salire in groppa al cavallo e dandogli la carica per l’inizio del racconto. Spero che si sia compreso il suo ruolo e il messaggio che ho voluto trasmettere nella parte iniziale dello spettacolo. Lo dico perché oggi si tende a fare un teatro immediatamente leggibile allo spettatore, invece io, legato al teatro di ricerca degli anni ’70, ho voluto far riflettere il pubblico sulla condizione umana degli emarginati della società, quegli ultimi che sono esseri umani con un’anima, degli interessi e dei sogni che avrebbero voluto realizzare come tutti noi.
Il tuo viaggio personale con Don Chisciotte parte da lontano: quanto di questo personaggio vive in te?
Quella di Don Chisciotte è stata un’operazione drammaturgica iniziata negli anni ’80 con il professor Vincenzo Cuomo, che ha richiesto un lavoro di scrittura di sei mesi e sono stati pochi gli adattamenti teatrali del testo, per cui sono molto soddisfatto che questo lavoro torni in auge ancora oggi. Sono stato anche io un Don Chisciotte affrontando imprese che sembravano impossibili, come quella di recitare il ‘Caligola’ in spagnolo senza conoscere la lingua davanti a cinquemila persone sotto la pioggia e in quell’occasione il pubblico restò seduto sugli spalti dell’anfiteatro fino all’ultimo momento. All’inizio ero un hidalgo più guascone, poi con gli anni è arrivata una maggiore profondità interiore, una maturità che ha portato con sé una certa malinconia ed è maturata con me anche la personalità del Don Chisciotte. E poi, come lui, anche io credo in Dulcinea, nell’utopia legata alla donna, a un mondo diverso in cui la tensione verso la donna resta intatta: questo è forse il punto in comune più importante che ho con questo personaggio.
Diana Della Mura
30 novembre 2019
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Dopo ‘Essere Don Chisciotte’, Gennaro Duccilli e la compagnia Teatro della Luce e dell’Ombra saranno impegnati nel portare nuovamente in scena il ‘Caligola’ dal 3 al 5 aprile al Teatro Ghione.