#Intervista a Gabriele di Luca che nel 2008 ha fondato, insieme a Massimiliano Setti e Luisa Supino Carrozzeria Orfeo, una delle compagnie più seguite ed interessanti del panorama contemporaneo. Fino al 28 gennaio la compagnia sarà in scena al teatro Eliseo con lo spettacolo Cous Cous Klan ed al Piccolo Eliseo, fino al 27 gennaio, con Thanks for Vaselina.
Come nasce l’idea di dar vita alla compagnia “Carozzeria Orfeo”?
Nasce un pò per caso, un po’ per necessità. Mentre ero al terzo anno in accademia, ad Udine, siamo stati chiamati a presentare uno spettacolo per una delle serate che la scuola organizza per far mettere in pratica agli studenti quanto appreso. Sia io che gli altri, eravamo entrati con l’idea di diventare attori “scritturati”, fino a quel momento non avevamo mai pensato di poter scrivere noi stessi qualcosa di nuovo. Nel pensare a cosa mettere in scena per quella serata invece abbiamo deciso che invece di riprendere un grande classico e magari farne una variante, sarebbe stato più “nostro” scrivere qualcosa di nuovo. Da lì è nata l’idea, con il tempo, di formare insieme a Massimiliano Setti e Luisa Supino “Carrozzeria Orfeo”.
Carrozzeria Orfeo nella stagione corrente festeggia dieci anni di vita con grandi risultati al suo attivo: un successo dovuto alla vostra capacità di leggere il mondo d’oggi e trasfigurarlo a teatro?
Sì, credo proprio di sì, la capacità di trasfigurare ciò che ci circonda sul palco teatrale è la vera differenza che ci distingue. Per fatti capire, proprio ieri ci ha scritto una scuola di teatro di Roma, ringraziandoci perché gli studenti dei loro corsi, dopo aver visto i nostri spettacoli, sono tornati in aula con ancora più voglia di prima di studiare e continuare per questa strada. Nei nostri spettacoli si crea comunione fra la disgrazia del presente ed i sentimenti che lo attraversano… tutto ciò poi è fruibile ed emozionante, credo che questa sia la nostra chiave nell’arrivare al pubblico in maniera così efficace.
Quali sono i personaggi, anzi le figure contemporanee che avete raccontato finora nei vostri spettacoli?
Cito lo spettacolo Sul confine, nel quale raccontiamo la storia di tre soldati italiani impegnati nei balcani che, malati di Uranio impoverito, finiscono per morire. Nello spettacolo i tre si trovano in un limbo, fra la vita e la morte e capiscono solo alla fine di trovarsi lì. Per scrivere questo spettacolo abbiamo fatto approfondite ricerche fra i documenti ufficiali ministeriali e letto moltissimi articoli.
Altro spettacolo che ti voglio citare è Idoli, ispirato a I vizi capitali e i nuovi vizi di Umberto Galimberti, dove cerchiamo di mettere in scena i vizi della società di oggi, così superficiali da diventare un vuoto conformistico. Al centro dei nostri spettacoli, come in Animali da Bar, ci sono gli ultimi, i perdenti, quelli che non ce la fanno e stanno fuori dalla copertina patinata dell’effemiera ribalta.
Sul vostro sito avete dichiarato che è sempre stata vostra intenzione dar vita ad un teatro “Pop”. Noi de La Platea pensiamo da sempre che il rimedio per riempire le platee dei teatri stia nell’usare un linguaggio al passo con i tempi ma soprattutto nella scrittura di opere nuove, nei cartelloni c’è veramente un eccesso di riproposizioni, riattualizzazioni e varianti dei grandi classici del teatro, si fa fatica a trovare idee nuove. Volevate dire questo con quell’affermazione?
Volevamo dire due cose. La prima è che troviamo un po’ sorpassato il fatto di vedere e rivedere spettacoli, come ad esempio l’Amleto, messi in scena attualizzandoli ad oggi, mettendosi giacca e cravatta, ciò lascia il tempo che trova. La nostra società oltre al classico ha bisogno di trovare il contemporaneo e per farlo dobbiamo scrivere per il nostro presente, la comunità deve rispecchiarsi con nuovi linguaggi. Il teatro che facciamo sta nella ricerca fra un nuovo patto fra artista e pubblico. Sicuramente la scrittura è quella che manca di più, non ci sono tante realtà che preparano gli autori in Italia, l’unica è la Paolo Grassi di Milano.
Viviamo in un sistema che non ama molto il nuovo, sia nel teatro che nel cinema. L’elemento di rischio sui nuovi linguaggi è percepito come alto e per questo rimangono sempre fuori dal sistema. Non sento mai di grandi teatri Nazionali che dicono “selezioniamo dieci testi contemporanei e li mettiamo in cartellone”, questo è promuovere veramente le realtà di oggi. Tutte queste rassegne, come “Under 25” o “Specie protetta” o “Focus giovani” non hanno senso, sono solo ghettizzazione della cultura, una cosa o è buona o non è buona. Se non si cambia modo di ragionare rischiamo che quando finirà il periodo di Lavia e degli altri grandi interpreti dei classici teatrali rimarremo con un grande vuoto e basta.
La vostra sede è a Mantova, ma nel corso degli anni avete avuto modo di girare l’Italia tutta, qual è l’istantanea dello spettatore medio teatrale che avete impressa nei vostri occhi?
Da un certo punto di vista ho rispetto del pubblico, perché mi sono reso conto che è più intelligente di quello che si vuol far credere. Si diceva che il pubblico di massa non era adatto per i nostri spettacoli, non è così! Il problema è che il pubblico lo devi preparare, devi fargli conoscere ciò che metti in scena. Noi abbiamo un pubblico eterogeneo, che si siamo conquistati spettacolo dopo spettacolo. Vorrei dire anche che la critica non ama la gente che ride a teatro e spesso non rende un’idea veritiera di ciò che mettiamo in scena.
Dal teatro al grande schermo: Thanks for Vaselina, uno degli spettacoli della trilogia composta anche da Cous Cous Klan e Animali da bar, è diventato un film prodotto dalla Casanova Multimedia di Luca Barbareschi…
Devo dire che è stata una grande esperienza perché ci siamo proiettati in un nuovo mondo con cast incredibile, Paolo Carnera alla fotografia e fra gli attori Luca Zingaretti e Antonio Folletto. La cosa più grande è stata aver creato il cast al completo, un duro lavoro ma veramente soddisfacente e veramente stimolante. Aspettiamo l’uscita del film con grande gioia.
Enrico Ferdinandi
20 gennaio 2019