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Intervista a Caterina Costantini, in scena con lo spettacolo Tutto per Lola al Teatro Roma dal 9 al 28 febbraio 2016
Entro nel Teatro Roma e aspetto pacatamente. A Roma piove, c’è traffico, ma dopo pochi minuti eccola che arriva, bellissima e prorompente come sempre, come se fosse il suo marchio di fabbrica. Qualcuno l’ha definita una virago e credo che non ci sia altra parola per definirla. Caterina Costantini è una donna forte, energica ma anche molto dolce, passionale, compagnona. Ho l’impressione di conoscerla da tempo, parlare con lei è un vero piacere.
Spaziamo da diversi argomenti: ogni domanda apre un flusso di altre domande a cui fanno seguito risposte più svariate. Partiamo dallo spettacolo Tutto per Lola in scena dal 9 al 28 febbraio, una commedia che racconta in modo tragicomico la storia di quattro prostitute in pensione.
A cosa si riferisce il titolo dello spettacolo Tutto per Lola?
Intanto diciamo che queste quattro signore sono delle ex prostitute, che vivono insieme in un villino stile liberty per farsi compagnia. Dalle finestre che affacciano sul giardino vedono una ragazzina quindicenne che si chiama, appunto, Lola, e c’è un pappone che la fa prostituire. A noi questa cosa fa particolarmente male (soprattutto a me), ed è qui che entriamo in gioco. Nel corso dello spettacolo, intinto anche di una punta di noir, faremo di tutto per difenderla da questi soprusi, da qui il titolo. È una commedia dove si ride, si fa dell’ironia, dove il tema della prostituzione viene trattato con molta leggerezza; ma c’è anche tanta amarezza che fa pensare, riflettere, e soprattutto giungere alla considerazione che non è che ci nasci con questo mestiere.
Ecco, appunto, lo spettacolo tocca un tema molto delicato che è quello della prostituzione. Tra le varie iniziative del Governo figura una proposta di legge volta alla revisione della Legge Merlin, finalizzata alla riapertura delle case chiuse. Qual è la sua opinione al riguardo?
Io ho proprio una battuta al riguardo, dove dice: “Stavamo molto meglio noi prima, al chiuso, poi è arrivata quella monaca della Merlin che ha rovinato tutto”. Chiaramente, visti i tempi che stiamo vivendo, non c’è più controllo. All’epoca della senatrice Merlin è vero che c’era qualcuno che speculava, ma non come adesso, l’unica cosa sgradevole su cui si può avere qualcosa da ridire è che prima queste donne venivano “bollate” come prostitute a vita. Sì sono favorevole, intanto perché questo è il mestiere più vecchio del mondo, e poi, a parte qualche eccezione, sarebbe anche una sorta di aiuto nei confronti di certi uomini che non riescono ad avere una donna. Poi se una donna decide autonomamente è giusto che decida di fare quello che vuole, ma deve deciderlo lei, non perché c’è qualcuno che la costringe a farlo. Oggi invece la prostituzione è alla mercé di questi papponi che fomentano il fenomeno dello sfruttamento e costringono la donna a prostituirsi.
Crede che esista un altro modo per poter combattere questo fenomeno dello sfruttamento della donna?
È chiaro che la donna non è ancora riuscita ad avere la sua autonomia. Io penso che il potere è ancora gestito dall’uomo, noi apparentemente ci siamo affrancate, in realtà non è così. Anzi, il fatto di essere riuscite a superare certi ostacoli, certi paletti, non è mai stato ben visto dall’uomo che si è sentito defraudato, non è abituato al confronto con la donna, confronto che non riesce più a gestire. La scuola dovrebbe introdurre la materia sull’educazione sessuale, qui in Italia non si fa perché siamo bigotti. Tante cose si dovrebbero fare, anche per combattere il bullismo, tutti questi fenomeni nascono da una cattiva cultura, da una mancanza di educazione che bisogna impartire sin da quando si è piccoli, e bisogna farlo presto. Siamo un paese lento, arretrato e bigotto.
Nelle note di regia si legge “la Skerl (autrice della commedia) con leggerezza, costringe lo spettatore a riflettere sulle debolezze umane e sulla crudeltà di certi rapporti”. Qual è la più grande debolezza umana per Caterina Costantini?
La vigliaccheria. Non avere il coraggio delle proprie azioni, il coraggio di dire la verità. L’onestà è fondamentale, guardare a viso aperto la vita, lealmente, questo conta molto per me, davvero.
E il più crudele dei peccati?
L’egoismo, ignorare gli altri mettendo al centro solo te stesso. Si può essere egoisti anche coi propri figli, un egoismo che prende forma attraverso il possesso. Non è detto che l’amore è scontato, anche se sei madre.
Lei è un’attrice molto poliedrica: nella sua carriera ha spaziato tra Shakespeare, Seneca, Pirandello, Goldoni, Verga. Quali, tra questi autori (o tra i loro personaggi), sente più vicini al suo temperamento?
Sicuramente Lorca, io sono innamorata di Federico Garcìa Lorca, stimo moltissimo anche Čechov ma la mia vera passione resta Lorca. Ho recitato in tre opere teatrali sue (La calzolaia prodigiosa, La casa di Bernarda Alba, n.d.r.), ma il personaggio che mi è piaciuto di più interpretare è stato Yerma. Ha colto questo senso della sterilità da vero grande poeta, purtroppo non molto conosciuto. Io ho una scuola di recitazione dove insegno, e quando parlo di Lorca e mi dicono che non lo conoscono, a me fa tanto male. Anche perché se non si conosce il prima, non si può capire il dopo. Per me sono autori fondamentali che si devono studiare a scuola, come anche Verga, La Lupa è un altro di quei personaggi che ho amato tanto.
La si vede spesso a teatro, il suo unico film è stato Dove Siete Io Sono Qui per la regia di Liliana Cavani. Come mai?
Bella domanda questa! (Ride). Nel senso, è vero che io non mi sono mai prodigata, dipende veramente da cosa vuoi, io volevo innanzitutto diventare una buona attrice. Ho avuto troppo rispetto per il mio mestiere e volevo farlo bene. Ho iniziato il mio percorso a 15 anni, e per farlo bene dovevo confrontarmi con dei ruoli come una Yerma, una Medea, una Bisbetica… poi a Napoli ho imparato la parte comica che è in me, me l’hanno insegnata i grandi maestri come Enzo Turco che ha lavorato tanto con Totò. Nel cinema dovevo impegnarmi un po’di più, all’epoca si partiva per 6-8 mesi in tournée, io mi procacciavo il lavoro. Il tempo poi è passato, non mi ci sono più dedicata. Nel cinema ti devi proporre, frequentare il cinema e gente che lo frequenta, non sono una di quelle che va ad elemosinare la parte, sono stata la prima donna in Italia che ha messo su una Compagnia, nell’ 85 sborsando un sacco di soldi. Penso invece alla fortuna che ho avuto, cioè che nel mio piccolo, pur essendo attrice di teatro, sono comunque conosciuta, a differenza di tanti altri attori che, pur passando attraverso il teatro (come Gassmann) sono diventati noti tramite la televisione; ma questo per una mia perseveranza, per l’amore che nutro verso il teatro e per il pubblico. Non amo deluderlo, entro in simbiosi con lui, è la mia vita.
Il più bel momento della sua carriera è stato…
La Ciociara. Ricordo che non volevo neanche entrare in scena, con Alberto Moravia in prima fila e con mille persone che aspettavano in sala. Ricordo che fui scaraventata sul palco, fu proprio Aldo (Reggiani) a spingermi perché avevo una paura terribile. Poi ci furono delle critiche straordinarie, lo stesso Moravia mi abbracciò. Provai un’emozione fortissima. Annibale Ruccello scrisse questo adattamento fantastico de La Ciociara, è qualcosa che non se ne parla mia. Nel tempo nessuno più le ha volute approfondire. Ci sono attori, registi che cadono nel dimenticatoio e di cui più nessuno ne parla, si va a teatro solo perché è stampato il nome dell’attore divenuto noto attraverso il cinema o la televisione. Quello che io mi impegno a fare invece è la scoperta di nuovi talenti, non importa se conosciuti o meno, perché andare a teatro non significa andare a seguire uno spettacolo solo perché c’è l’attore che è conosciuto di più, anzi, a volte è proprio attraverso i dilettanti che si scopre il vero e denso significato del teatro.
Costanza Carla Iannacone
13 febbraio 2016