Sabato, 23 Novembre 2024
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Giorgio Lupano e il suo viaggio nella cultura sorda con "Figli di un Dio minore"

Intervistiamo Giorgio Lupano, che ci parla dello spettacolo Figli di un Dio minore, per la prima volta in scena in Italia, al teatro Sala Umberto di Roma, dal 10 novembre 2015.

Perché è importante portare anche in Italia, dopo il successo europeo, "Figli di un Dio minore"?

Vorrei prima di tutto ricordare ai lettori che Figli di un Dio minore nasce come testo teatrale nel 1980 grazie alla penna di Mark Medoff e che è stato consacrato con il successo internazionale nel 1986 con la versione cinematografica di Randa Haines.

Per gli argomenti trattati direi che c’è da stupirsi che non sia ancora stato portato in Italia. A differenza del film il testo è meno incentrato sulla storia d’amore ma viene data una maggior importanza al tema dell’integrazione fra comunità sorda ed udente. Tema questo, quello dell’integrazione, non solo fra sordi ed utenti, molto attuale oggi. Portiamo quindi in scena questo problema attraverso la storia d’amore di due persone che comunicano in maniera differente, che parlano due lingue diverse e che devono trovare un punto d’incontro per andare avanti.

 

L’unico teatro di Roma che dedica una replica dei suoi spettacoli in Lis è il Ghione, pensi che gli altri teatri seguiranno questo esempio in futuro, anche grazie al messaggio che porterete in scena con il vostro spettacolo?

Personalmente non ho mai visto spettacoli tradotti in Lis al Ghione ma so’ che, così come avviene in molti telegiornali, vi è una traduzione simultanea dello spettacolo che è interamente in lingua originale. Quello che invece facciamo noi è diverso. Durante lo spettacolo parliamo e segniamo contemporaneamente così da rendere fruibile, sia per gli udenti che per i sordi, ciò che avviene sul palco. La nostra ambizione, quindi, è quella di fare uno spettacolo bilingue per un pubblico integrato, udenti e sordi che contemporaneamente fruiscono dello stesso spettacolo. Per facilitare la cosa utilizziamo proiezioni, immagini, ombre cinesi e altri mezzi teatrali in grado di aiutare ancor meglio chi è sordo a seguire tutta la storia.

 

Hai imparato a parlare la Lis in questi mesi e come è cambiato il tuo modo di vedere e considerare questa cultura?

Ho studiato la Lingua dei Segni Italiana per quattordici mesi all’Istituto Statale dei Sordi di via Nomentana, con Grace Giacubbo e Vincenzo Speranza, che ringrazio veramente molto. Naturalmente non posso dire di aver imparato a parlare la Lis, ma con loro ho imparato i segni da mettere in scena ed ho avuto una prima infarinatura sulla lingua. Quello che porterò in scena difatti sarà un italiano segnato, in quanto sarebbe impossibile parlare a voce in italiano e segnare in lingua dei segni italiana, sarebbe come parlare due lingue insieme, per questo motivo segnerò l’italiano recitato a voce. 

Spettacolo a parte devo dire però che segno e frequento i sordi. Ci tengo a precisare che stiamo portando in scena la cultura sorda, non solo la loro lingua. Dico questo perché non si potrà mai comprendere veramente l’altro, il diverso da noi, ma si può tentare di andargli incontro e fare di tutto per capirlo. Mi sento di poter affermare che oggi lo comprendo questo mondo e che la Lis mi affascina da morire per la magia che si crea a livello comunicativo quando viene parlata. Credo che questo sia un motivo in più per seguire lo spettacolo.

 

Quali sono le emozioni che provi quando reciti con Rita Mazza e che tipo di comunicazione si è creata fra voi?

Devo per prima cosa ringraziare il regista, Marco Mattolini che teneva questo testo in un cassetto della sua mente ben prima della realizzazione del film. Aveva covato questo sogno e poi ha trovato un attore così spericolato da mettersi in gioco con la Lis. Quell’attore fortunatamente sono io e lo ringrazio tantissimo per questo.

Devo essere sincero, questo è il viaggio più bello che ho fatto finora e l’incontro con Rita ne è parte integrante. Ho dovuto prima imparare la Lis e poi confrontarmi con lei, una persona nativa segnante, quindi con una sensibilità scenica molto diversa dalla mia. Ciò è stato affascinante ed ho potuto imparare cose che non avevo potuto apprendere con il mero studio dei segni. La stessa parola a teatro, all’interno di un racconto diventa diversa. Una volta iniziate le prove ho capito che questo lavoro poteva anche avere un’altra valenza oltre a quella che avevo capito e nel farlo ho imparato da Rita ad usare in maniera nuova gli sguardi, i silenzi, la mimica. Si tratta di cose che già sapevo prima, ma che concepisci in maniera differente quando ti approcci ad una persona sorda.

 

Come è stato visto finora questo spettacolo dal pubblico da una parte e dagli addetti ai lavori dall’altra?

Quest’anno faremo una tournè molto breve. Questo perché c’è tanta paura, da parte dei direttori artistici dei teatri nel voler portare in scena uno spettacolo che parla di sordità, con la motivazione che non si sà come possa esser recepito dal pubblico. La loro prima domanda spesso è: "ma quindi è uno spettacolo per sordi? E il pubblico come la prenderà?".

Noi invece, come detto anche in precedenza, abbiamo intenzione di portare in scena uno spettacolo integrale. Spesso si dimentica del successo mondiale del film che ha vinto Oscar, Orso d’oro e Golden Globe. Viene quasi da dire, davanti a queste domande, a questi dubbi: i sordi siete voi!

Colgo quindi l’occasione per fare i complimenti e ringraziare i produttori di questo spettacolo, Alessandro Longobardi, per Oti, e Walter Mramor, per ArtistiAssociati, che hanno avuto veramente tanto coraggio.

Sul fronte pubblico sono ben più fiducioso. Abbiamo debuttato ad agosto al Festival del Teatro di Borgio Verezzi, la platea è rimasta entusiasta della messa in scena e Stefano Delfino, direttore artistico del festival ha dichiarato che il nostro spettacolo ha rappresentato il momento più alto nei quattordici anni della sua direzione artistica. 

Confidiamo nel fatto che la gente possa capire che cosa rappresenta questo spettacolo. All’estero la situazione è differente e questo me lo ha raccontato Rita. Lei per lavorare è dovuta andare a Berlino, questo perché in Italia non esistono compagnie per attori sordi, come invece ve ne sono in Germania o in Francia. Questa è una cosa che ci fa ben capire quanto siamo indietro.

 

 

Enrico Ferdinandi

13 ottobre 2015

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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