ÀP, Accademia Popolare dell'Antimafia e dei Diritti è un progetto pensato e realizzato per la periferia di Roma come presidio fisso all’interno di una scuola e con l’obiettivo di educare i giovani al teatro ma anche come laboratorio e spazio aperto al territorio e alla collaborazione. Ospitata presso l’Istituto d'Istruzione Superiore Enzo Ferrari – sede dell'Istituto tecnico commerciale Giovanni da Verrazano che si trova in via Contardo Ferrini 83 – dispone di un teatro da 244 posti e di una biblioteca di 300 mq. Abbiamo voluto incontrare due dei protagonisti della sua nascita proprio per saperne di più.
- Partiamo dall’inizio: come si sono conosciuti Danilo Chirico, giornalista, scrittore, autore televisivo e presidente dell’Associazione antimafie daSud e Rosario Mastrota, regista, attore, drammaturgo e fondatore della Compagnia Ragli?
- Rosario Mastrota: dell’esistenza di daSud sapevo già da un po’ ma non c’erano state occasioni di incontro, fino a quando non abbiamo partecipato (con L’Italia s’è desta) ad un Premio organizzato dall’associazione di Danilo - era il Premio Dirittinscena – e abbiamo vinto quell’edizione come miglior spettacolo. Da quella volta le carte di Compagnia Ragli e daSud si mescolarono, ci furono i primi incontri, scoprimmo conoscenze in comune - una su tutte quella con l’amico attore Ernesto Orrico - e il sodalizio partì alla grande. Da allora le attività svolte insieme sono state tantissime. Inoltre, ça va sans dire, tra i ragazzi di daSud ce n’è un altro molto speciale, Pasquale Grosso, ritrovato per caso a Roma dopo anni di incontri studenteschi durante i rispettivi anni da liceali, in Calabria, tra Castrovillari e Firmo.
- In cosa consiste ÀP, Accademia Popolare dell'Antimafia e dei Diritti e cosa la distingue da tante realtà che possono sembrare simili?
-R.M.: ÀP prima di tutto è una scommessa. In una città in cui la cultura è decadente (non in senso poetico) avviare una factory sociale così ambiziosa è davvero un salto nel buio. Le realtà simili esistono, certo, ma il progetto di ÀP prevede lo sviluppo e la mescolanza di differenti generi culturali e sociali. Il teatro, il cinema, la lettura, il laboratorio, la musica, la radio sono gli ingredienti che abbiamo deciso di amalgamare per la buona riuscita della nostra ricetta culturale. La “pentola” è una scuola (l’Istituto Enzo Ferrari) e al suo interno abbiamo voglia di costruire il nostro progetto. Abbiamo una biblioteca di 300 mq da riammodernare e rendere fruibile al quartiere, alle persone diversamente abili, alla Città. Un teatro di 244 posti da far vivere con spettacoli, prove e laboratori e un terzo piano da mettere a disposizione per chi volesse farne qualsiasi uso culturale. ÀP è una fucina.
Danilo Chirico: ÀP è un progetto di innovazione sociale e culturale, unico in Italia, che nasce fondamentalmente da un’idea di daSud, realtà presente a Roma da otto anni e da sempre impegnata in un lavoro quotidiano di racconto delle mafie e dell’antimafia e nella promozione dei diritti civili e sociali. Avevamo in testa da tempo l’idea di dare vita a un progetto capace di unire diversi modi di fare antimafia sul territorio. E volevamo farlo proprio laddove, per diverse ragioni, è più facile cadere nella trappola della fascinazione dei clan. Per questo ÀP nasce in periferia e diventa un presidio fisso all’interno di una scuola, con un’ulteriore prerogativa: quella, cioè, di essere al tempo stesso un laboratorio permanente di diritti e di cittadinanza per gli studenti e uno spazio aperto al territorio e alla collaborazione di chiunque avesse voglia di impegnarsi in tal senso. Un’idea che è ha subito incontrato il sostegno di Officina Culturale Via Libera e Cooperativa Diversamente e che non si sarebbe realizzata senza la sensibilità del corpo docenti di un istituto, l’IIS E. Ferrari di Cinecittà-Don Bosco, che ha scelto di ospitare l’Accademia. A distanza di un anno dalla sua nascita, ÀP oggi è a tutti gli effetti una factory sociale con laboratori creativi per gli studenti, una biblioteca che presto verrà aperta al territorio, un hub per associazioni e artisti e un palcoscenico capace di ospitare importanti e originali progetti culturali rivolti a tutta la cittadinanza.
- Scegliere di investire nella periferia romana appare una scelta sociale e politica molto precisa: cosa vi aspettare da questo progetto?
-R.M.: il riconoscimento del nostro progetto culturale e sociale da parte della città. L’obiettivo primario è didattico: vogliamo educare al teatro gli studenti dell’Istituto (troppo rapiti da altro) e coinvolgere e stimolare il quartiere ad avere in ÀP un polo culturale di riferimento. Per coinvolgerli dobbiamo prima di tutto ascoltarli, capire di cosa hanno bisogno, appassionarli e incoraggiarli. Sarà una bella sfida.
- D.C.: con ÀP abbiamo acceso un faro sulle periferie, contro la dispersione scolastica, la fascinazione dei clan e la povertà culturale. Quello che ci aspettiamo è sicuramente una risposta sempre più ampia da parte del territorio e non solo. In una città che sottovaluta la presenza delle organizzazioni criminali, stiamo praticando un processo di cambiamento che per funzionare ha bisogno dell’attenzione di tutti, a partire dalle istituzioni, alle quali rinnoviamo il nostro appello ad affrontare il tema mafie e a far vivere questa grande ambizione che si chiama Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti.
- Siete appena nati eppure potete vantare già una prima stagione di tutto rispetto grazie a nomi come Roberto Latini, che inaugurerà lo spazio con la rilettura de I giganti della montagna Giovedì 9 novembre, Antonio Carnevale, Simone Perinelli, Emiliano Valente, Valeriano Solfiti o Andrea Di Palma. Come siete riusciti a coinvolgerli?
-R.M.: con la forza e la solidità del progetto culturale. Gli artisti coinvolti hanno accettato di scommettere con noi. Gliene siamo grati.
- Qual è, secondo voi, la funzione del teatro oggi e com’è possibile contribuire alla sua realizzazione?
-R.M.: il teatro oggi è sempre vivo e in fermento. A volte è gestito male. Spesso è costruito da troppe scelte “artistiche” e poche di qualità. Alcuni cartelloni sono realizzati senza pesare l’interesse del pubblico e le platee sono semivuote per questo. Siamo nel periodo storico dei bandi, ogni struttura ne organizza almeno uno all’anno, questo, a mio avviso, rende tutto più “criteriale” (under, over, man, woman ecc) e meno ipsativo. Ma capisco anche le motivazioni che ci sono dietro, spesso economiche, spesso di compromessi e il ragionare sui numeri e sui compromessi genera soffocamento culturale.
Cristian Pandolfino
20 novembre 2017