Venerdì, 22 Novembre 2024
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Meccanica armoniosa: Le Sacre di Virgilio Sieni

Le Sagre in scena al Teatro Argentina dall'8 al 10 gennaio 2016

Un capolavoro della musica classica ripreso, interpretato, attraversato da Virgilio Sieni, coreografo e danzatore che Goffredo Fofi descrive come “tra i pochissimi capaci tramite il movimento di dar vita a composizioni che parlano ancora dell’umano, delle sue debolezze e fragilità”. Al Teatro Argentina, dunque, l’incontro fra due grandi: Stravinskij e Sinisi, la Primavera dell’uno vive ne Le Sacre dell’altro.

Un percorso estetico, lineare, pulito, totalmente privo di scenografia, la stessa pelle resta così, nuda, espressiva nella sua naturalità. Si inscena un pezzo di storia della musica classica, la Primavera di Stravinskij, e la responsabilità di interpretare tale ingegno musicale non incorre in alcuna difficoltà di espressione, ma prosegue come un flusso ben incastrato, dove l’elemento della stagione si manifesta con la danza in tutte le sue forme, la primavera come stato interiore. Una sensazione quasi mistica eppure familiare, una ricongiunzione con il personale, l’atavico, il sentimento vero del contatto con la natura e con tutte le sue forme. D'altronde la musica stessa di Stravinskij è permeata da elementi sotterranei, note che furono approccio nuovo e poco comprensibile nel panorama della musica classica di primo novecento . Elementi pagani, dal sapore esoterico, così come le coreografie limpide e pure ma cariche di elementi profondi e vibrati interni. Tendini e muscoli visibili, su di un palco dove la luce leggera e soffusa restituisce sei corpi femminili, a loro è, infatti, affidato il primo tempo, i primi scatti e i movimenti ritmici. Primi passi di danza meccanica e sinuosa in corpi nudi che fanno dimenticare la loro stessa nudità. Spontanei in un collegamento con la Pachamama, nucleo perfetto, matrice prima, seguono l’arrangiamento del Preludio sull’originale musica di Daniele Roccato. È l’incipit che ci inizierà a la Sagra. Movimenti ipnotici mostrano l’alta capacità coreografica di Sieni, un vero e proprio studio muscolare su quei corpi ora pieni di grazia rinascimentale ora di moderne baccanti che danno vita a una danza senza stasi, tranne qualche fermo immagine per concedere a noi spettatori l’impressione di osservare un quadro. Affreschi che prendono vita e si divincolano, frammenti, arti che si torcono, piccoli scatti, sussulti che si snodano vertebra per vertebra. Pausa. Si entra nella sagra, le nudità iniziali sono semivestite, a loro si aggiungono componenti maschili per realizzare un corpo di undici danzatori. In un sentore di panismo e musica che va in crescendo scorrono movimenti netti e precisi, non duri ma sciolti in slanci e saltelli. “Il suono dell’acqua libera, gli spiriti della natura che accorrono sulla strada per vedere chi passa”. Figli in divenire di questo meccanismo, a tratti anche inquieto, che è poi quello della natura, attenti al loro corpo e alla riproduzione, elaborano un sistema di trasmissioni che è poi l’arte del gesto. Si colgono i giochi di tempistica, le sequenze ripetute per meglio cogliere i vari intrecci, una danza convulsa che non scade in disordine, ma mantiene centrale la bravura artistica dei danzatori che si esprimono in passi e virtuosismi di prese e salti. Un cerchio magico che richiama alle energie prime, settanta minuti di coreografia asciutta e piena che riporta alla mente una citazione di un altro immenso nome della musica: “Penso che la musica contenga una libertà, più di qualsiasi altra arte, non limitandosi solo alla ripetizione esatta della natura, ma ai legami misteriosi tra la natura e l’immaginazione”. Così parlava Debussy della musica e la danza di Sieni ci porta ad adottare anche tale espressione. La nostra immaginazione è stata amplificata e accarezzata, lo spettacolo deve girare.


Erika Cofone
11 gennaio 2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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