Recensione dello spettacolo Giselle in scena al Teatro Costanzi dell'Opera di Roma dal 20 al 24 settembre 2017
A chiudere la stagione operistica del balletto del Teatro dell'Opera di Roma 2016/2017 è Giselle nella versione coreografica curata da Patricia Ruanne. Nato da un'intuizione del poeta e romanziere francese Théophile Gautier, con gli anni Giselle è diventato il simbolo, il patrimonio del repertorio ballettistico classico romantico.
La sua prima messa in scena avvenne nel 1841 all'Opéra National de Paris, con una giovane Carlotta Grisi nel ruolo di Giselle e Lucien Petipa nel ruolo di Albrecht. Il balletto riscosse un enorme successo tanto da provocare imitazioni nel teatro drammatico e nell'opera lirica e, ancora oggi, viene considerato il più grande capolavoro mai rappresentato.
Giselle è un testo potente, corale, affascinante e suggestivo, fascino – rimasto immutato negli anni – accresciuto dai personaggi che ne animano la narrazione, dagli elementi scenici, dai sentimenti che governano la vicenda e dallo spunto da cui quest'opera fu tratta.
Gautier, sfogliando le pagine De l'Allemagne di Heinrich Heine, rimase profondamente affascinato dalla leggenda delle Villi, gli spiriti delle fanciulle morte alla vigilia delle nozze. Sulla base di questo antefatto, il poeta e romanziere pensò di inserirvi al suo interno una storia sfruttando una poesia delle Orientales di Victor Hugo, intitolata Fantômes, che racconta di una ragazza uccisa dal freddo dell'alba all'uscita da un ballo. Allora trentenne, tuttavia Gautier non aveva esperienza di autore di teatro, fu per questo che si decise ad affidare la stesura del libretto al drammaturgo Jules-Henri de Saint-Georges la cui bozza, però, si discostava molto dal pensiero originario del giovane romanziere. I due autori allora decisero di redigere a quattro mani il libretto definitivo, che fu accolto immediatamente all'Opéra National de Paris e dove la scelta della partitura musicale non poté che ricadere su Adolphe Adam, compositore anch'egli giovanissimo e di grande fama nella produzione di balletti.
Protagonista principale della storia è l'amore, e tutte le conseguenze che sfociano da questo sentimento: il tradimento, l'inganno, il sospetto, il dolore, la follia ed infine la morte.
Giselle è diviso in due atti.
Il sipario si apre su una collina del Reno, adornata di alberi, una casupola e una capanna e, sullo sfondo, arroccata su uno sperone roccioso, un'imponente dimora feudale. Raggi di sole s'intravvedono all'orizzonte. È giorno e Giselle (Rebecca Bianchi), onesta e dolce ragazza, irrompe dalla casupola per andare a vendemmiare. Durante il percorso incontra un giovane che si fa chiamare Loys (in realtà è il conte Albrecht travestito da contadino) e se ne innamora, ricambiata. Hilarion (Manuel Paruccini), guardiacaccia del villaggio, che da sempre nutre sentimenti d'amore per la ragazza, insospettito lo tiene sott'occhio. La festa della vendemmia è una buona occasione per i due ragazzi di conoscersi meglio e così facendo si uniscono alle danze. Berta (Alessia Barberini), intanto, cerca di mettere in guardia la figlia Giselle dalle insidie dell'amore per quello sconosciuto e le racconta la storia delle Villi, gli spiriti inquieti delle fanciulle che si suicidarono alla vigilia delle nozze per il tradimento dei loro futuri mariti. Al villaggio intanto giungono il duca di Curlandia (Damiano Mongelli) e sua figlia Bathilde (Cristina Saso), promessa sposa di Albrecht (Claudio Coviello), la quale regala a Giselle una collana come dono di nozze per il suo matrimonio. I festeggiamenti proseguono, ragion per cui Hilarion, che nel frattempo ha trovato la spada di Albrecht introducendosi nella capanna, non può ancora rivelare a Giselle la vera identità del suo innamorato, tanto più che è stata appena incoronata reginetta della vendemmia. Lo farà solo al termine e quando ciò avverrà, Giselle, dopo che avrà avuto conferma anche da Bathilde di quel che Hilarion le ha raccontato su Albrecht, impazzirà dal dolore e, ferendosi con la stessa spada del suo amante, morirà.
Il secondo atto è molto più "oscuro" rispetto al precedente, connotato da aspetti sovrannaturali e dalla morte che aleggia – o meglio, danza – sul palcoscenico. Il sipario si apre sul fondo di un bosco dove è presente la tomba di Giselle. Myrtha (Marianna Suriano), la regina delle Ville, sorta dopo mezzanotte, invita le altre a ballare per accogliere la nuova anima tra loro. Durante la notte Albrecht si reca sul posto per portare fiori alla sua amata quando nel buio gli sembra di scorgere lo spirito sfuggente di Giselle. Un triste destino attende chi incontra le Villi, ed è quello di essere condannati a danzare sino alla morte. È quello che succede ad Hilarion, anche lui lì sul posto per vegliare sulla tomba di Giselle, e che toccherà anche ad Albrecht ma Giselle intercede per lui dandogli la forza di continuare nonostante la stanchezza. Quando tutto sembra perduto la luce sorge su un nuovo giorno, le Villi tornano alle loro tombe e Giselle sparisce. Albrecht, solo, è libero di cominciare una nuova vita.
A ben vedere, il testo di Giselle va analizzato in più punti. Non può certamente sfuggire il confronto tra il primo e il secondo atto: il primo caratterizzato dalla luce del giorno (la vita, l'amore), dai colori vivaci e spumeggianti della vendemmia, e poi ancora i costumi rutilanti scelti da Anna Anni e indossati dai ballerini, le sfumature rubine che si intravvedono tra gli alberi e le siepi delle colline; di contro, il secondo atto è connotato da contorni più scuri (la morte, il gelo, il sovrannaturale), da ombre che si disperdono nella notte, ammantano i rami degli alberi, non danno modo di distinguere i confini tra cielo e terra così come non danno modo di distinguere se quel che accade è vero o finto, o anche solo sognato. Anche i costumi sono diversi (tutte le ballerine vestono di bianco, quasi a voler simboleggiare il candore di ciò che resta del corpo, ovvero l'anima), le movenze, le musiche... persino la danza, movimento del corpo, assume la forma di ciò che è l'essenza stessa del movimento: comunicazione, anima, spirito che si muove con leggiadria dato dalla leggerezza dei passi. Qui le ballerine non danzano, ma volano. Sono piume sul palco e nell'aria, nei piedi e nelle braccia, ali sinuose di un linguaggio fatto di solo spirito comprensibile a chiunque le guardi. La magia e il potere della danza sta proprio in questo: essere un idioma universale alla portata di tutti senza distinzione di età, etnia, religione o cultura.
Oltre all'amore, di fatto, a far da protagonista alla storia di Giselle è anche (e soprattutto) la danza. Nel libro di Heine le Villi ne provano un irrefrenabile desiderio e amore, aspetto che contribuì a fare di questa leggenda la fonte di ispirazione del balletto. Anche Giselle è innamorata della danza, e forse non è un caso che, da morta, diventi una di loro.
Oltre alle scenografie, alle musiche, alla vivida interpretazione dei ballerini e dei "coristi", il testo di Giselle è e resta da sempre una bellezza intramontabile, grazie anche al corpo dell'atto che prende vita, a sua volta, nei corpi degli interpreti: l'amore non corrisposto, l'eterno triangolo, l'inganno, la colpa, il perdono... e il trascendente che lega il ricordo all'amore e viceversa, connesso alla necessità degli esseri umani di mantenere vivi nella memoria i propri cari. Una bellezza data anche dalla cura e dalla particolarità dei dettagli, dove nulla è slegato e nulla è messo in secondo piano, nemmeno i numerosi ballerini presenti sulla scena che fanno da "coro" a Giselle e Albrecht e al passaggio del duca di Curlandia e Bathilde.
Non esiste insomma favola del ballo romantico più bella di quella di Giselle che lega l'amore alla danza.
Costanza Carla Iannacone
22 settembre 2017