Domenica, 22 Dicembre 2024
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Marilyn, Mao, Liz Taylor, Mick Jagger: le icone di Warhol al Vittoriano

Recensione della mostra Andy Warhol dal 3 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019 presso il Complesso del Vittoriano

 

Andrew Warhola, meglio noto come Andy Warhol: artista della seconda metà del Novecento, personaggio tormentato e controverso, criticato e apprezzato ma di cui non si può ignorare come abbia influenzato l'arte del secolo passato arrivando fino ai giorni nostri.
È a lui, creatore della Pop Art, che viene dedicata una nuova mostra nella parte destra dell'Ala Brasini del Complesso del Vittoriano di Roma. Contemporaneamente, la parte sinistra è occupata dalla mostra Pollock e la scuola di New York e per chi, come chi scrive, ha visitato entrambe, la differenza appare subito evidente.


Pollock è solo coprotagonista dell'evento e la disposizione delle opere di tutti gli esponenti della Scuola di New York è ampia e variegata, mentre la mostra monografica di Warhol vede l'esposizione di 105 pezzi in sole 5 stanze ma dove c'è tanto da vedere e osservare. Le pareti sono riempite quasi interamente dalle serigrafie, senza spazi vuoti, mentre le luci basse contribuiscono a creare quel clima di riproduzione infinita che è simultaneamente premessa e conseguenza della creazione artistica warholiana.
Il percorso dalla prima alla quinta stanza si snoda per nuclei tematici fondamentali alla sua ricerca e non tralascia nessun aspetto della prolifica produzione di Warhol: giunti alla fine si è, quindi, acquisita una visione completa dell'artista e della Pop Art.

La presenza delle lattine della Campbell's Soup, esposte per la prima volta a New York nel 1962, testimonia il suo legame con la società di massa e il consumismo americano in cui è immerso. La scelta di ricorrere alla serigrafia - derivata dalla sua formazione di grafico pubblicitario - e la preferenza di oggetti comuni del quotidiano immortalati come feticci nell'opera d'arte e riprodotti all’infinito con minime variazioni, sono il segno dei tempi che cambiano. E di come l'arte sia diventata un ingranaggio del consumismo imperante e fenomeno primariamente commerciale, Warhol, a dispetto di alcune fantasiose interpretazioni critiche dei decenni passati che lo volevano in antitesi col consumismo, chiarisce personalmente questo equivoco dichiarando apertamente i suoi intenti: “La business art è il gradino subito dopo l'arte. Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business ".
Dunque creatore e prodotto della società in cui vive, oggi sarebbe definito un "influencer": promotore di mode e di costumi sociale, perfettamente a suo agio nella società di massa americana che vuole celebrare nelle sue opere oggettive e in serie. Lui stesso ci dice in più occasioni che le lattine di zuppa sono state il suo pasto per 20 anni ed è esaltato dall'idea che il presidente degli Stati Uniti beva la Coca Cola come l'operaio. Per lui l'arte è qualcosa che "si consuma" come tutto il resto, non ha valore per la sua unicità ma per quello economico che acquisisce. A voler tentare una lettura psicoanalitica che distingue tra autore reale (che si rifà alle dichiarazioni esplicite) e autore implicito (quello che viene espresso, sfuggendo al controllo dell'artista) sembrerebbe che Warhol abbia trovato un riscatto alla sua condizione di figlio di immigrati slovacchi nella società del business: quella che livella e permette a tutti di scalare le vette del successo e della ricchezza.
I suoi numerosi self-portrait, che non potevano mancare in questo percorso, avvalorano questa lettura. Dalle foto scattate attraverso la sua inseparabile polaroid e si trasformano in serigrafie vengono cancellati i brufoli e quelli che lui considera odiosi difetti: non si mostra mai senza la parrucca biondo chiarissimo e ha trasformato il suo nome e cognome per cancellare l'origine dall'Europa dell'Est.

Acuto osservatore della società in cui vive, intercetta momenti ed eventi importanti della sua epoca: l’incontro tra il presidente cinese Mao Tse-Tung e quello americano Nixon, attestato dalle varie serigrafie di Mao presenti nelle prime stanze del Vittoriano. Stesso discorso per le icone di bellezza come Liz Taylor, di cui troviamo una sola serigrafia, e Marilyn Monroe che nell'anno della morte, il 1967, lo spinse a riprodurre più e più volte il volto dell'attrice, variando le tinte ma non l'immagine raffigurata: c’è un’intera parete a illustrarle.
Ma Wharol ama rompere gli argini e sperimentare: molte opere esposte sono da ricollegare al suo laboratorio artistico Factory da cui sono nate le collaborazioni con i The Rolling Stones, i The Velvet Underground & Nico, di cui crea copertine degli album divenute storiche per le provocazioni a sfondo sessuale. Mick Jagger, a cui è legato da amicizia personale, viene serigrafato in diverse e numerose pose ammiccanti e sensuali. Successivamente collaborerà anche con Miguel Bosè - come testimoniano i numerosi ritratti - e John Lennon, di cui è presente la copertina di Menlove Ave. Quest'animo tormentato e perennemente insoddisfatto troverà muse ispiratrici anche nelle drag queen del locale notturno The Golden Grape di New York, immortalate nella prolifica serie serigrafica Ladies and Gentlemen, definendole la quintessenza della femminilità.

La parte conclusiva del percorso è dedicata al suo rapporto con la moda, all'esposizione delle foto e degli acetati frutto della sua polaroid: scarpe, vestiti e profumi pubblicati per Vogue, Glamour o Mademoiselle, risalenti agli anni in cui aveva lavorato come grafico pubblicitario. In seguito la passione per questo settore è testimoniata dalle foto e dalle serigrafie di Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino Garavani, J.P. Gaultier. Nell'area dedicata alle foto e agli acetati, vi sono tutte le foto alla base delle serigrafie precedentemente esposte: un modo per chiarire il punto di partenza e il punto d’arrivo del suo operato. Foto interessanti non serigrafate sono quelle ad Arnold Schwarzenegger del 1977 e a Sylvester Stallone del 1980.
L’uscita dalla mostra è foriera di emozioni contrastanti: il fastidio e quasi rifiuto generato dalla celebrazione dell'epoca dei consumi di massa è controbilanciato dal forte impatto visivo delle serigrafie dalle tinte espressionistiche, di cui non si può ignorare la potente forza comunicativa: come nei ritratti di Liz Taylor, Mao Tse-Tung, Mick Jagger e Marilyn Monroe che non possono essere assimilabili a qualcosa di puramente oggettivo e neutro, come da intento più o meno consapevole dell'autore.
Le opere d’arte finiscono per avere un’anima propria e, a volte, disubbidiscono alla volontà del loro creatore. Diventando icone di un’epoca.


Mena Zarrelli
20 novembre 2018

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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