Nello storico e suggestivo scenario del Castello aragonese di Otranto, da domenica 11 giugno a domenica 24 settembre 2017 sarà ospitata la mostra "Caravaggio e i caravaggeschi nell'Italia meridionale". Ma, ahimè, dobbiamo dire subito che a parte il notissimo Ragazzo morso da un ramarro a fare da apripista, di Michelangelo Merisi da Caravaggio non c'è traccia.
Il visitatore, infatti, percorrere le stanze allestite in successione nella speranza di trovare altri capolavori del pittore che ha dato il via all'età moderna nel mondo dell'arte, ma di seguito troverà invece i pregiati capolavori dei Caravaggeschi dell'Italia meridionale, ma non la loro fonte d'ispirazione. Anche se il titolo dell'evento può, quindi, suonare come uno specchietto per le allodole, la scelta dell'unica opera non lascia comunque indifferenti. Ragazzo morso da un ramarro raffigura un giovane dolente per il morso di una lucertola che spunta tra le rose e la frutta dal forte connotato simbolico. Si tratta di un quadro che risale al 1596-97 in cui la posa effeminata emana sensualità, che ha fatto molto discutere e che secondo Sgarbi dimostrerebbe l'omosessualità del pittore con una sorta di autoritratto. Secondo il critico Vittorio Maria de Bonis, consulente del film Caraggio (2007) invece, sarebbe una rappresentazione il più "naturale" e realistica di figure umane del suo tempo. La luce crea la plasticità dell'immagine indagando minuziosamente i dettagli realistici ritratti.
Alcuni di questi aspetti tecnici sono stati successivamente ripresi dai Caravaggeschi meridionali esposti in loco, che hanno potuto ammirare le opere del loro maestro ideale cogliendone la dirompente e provocatoria modernità. Nelle stanze allestite con luci che in realtà non valorizzano le opere, ma ne rendono difficile la visione, sono presenti Giuseppe de Ribera, Battistello Caracciolo, Andrea Vaccaro e Mattia Preti che hanno lavorato principalmente a Napoli. Sono esposte poi le opere di Giovanni Lanfranco, Matthias Stom, Giacinto Brandi e Filippo Napoletano. I pezzi esposti sono tutti tratti dalla collezione dello studioso Roberto Longhi, che alla sua morte li ha donati alla Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi.
Al di là delle criticità rilevate, si tratta comunque di un percorso artistico notevole e interessante che permette di fare un viaggio nella pittura di fine Cinquecento e Seicento, agli albori di un nuovo modo di pensare e fare arte.
Mena Zarelli
11 settembre 2017