Domenica, 22 Dicembre 2024
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Recensione dello spettacolo L’avaro in scena al Teatro Quirino di Roma dal 17 al 22 dicembre 2024

 

È sempre un’operazione ardua e onerosa quella di portare sul palco un classico della drammaturgia come L’avaro di Molière, soprattutto se la versione che si intende proporre al pubblico è riveduta e corretta. Molti hanno cercato di svecchiare i grandi classici anche per renderli accessibili alle nuove generazioni, e spesso tali tentativi, seppur condotti con le migliori intenzioni, non sono riusciti a sortire l’effetto né il risultato desiderato, e non hanno nemmeno reso giustizia all’opera originale. 

Nel caso de L’avaro diretto da Luigi Saravo, però, l’esperimento è perfettamente riuscito. 

Checché ne possano dire i nostalgici della versione tradizionale - i quali potrebbero obiettare che le dinamiche presentate da Molière perdano di credibilità riadattate alla nostra epoca -, questa trasposizione modernizzata arriva in modo diretto ed efficace al pubblico, almeno a chi è ormai stancio di un certo modo di fare teatro. 

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Subentra all’ultimo minuto un fuoriclasse come Francesco Demuro nel cast dello spettacolo proposto in decentramento dal Teatro Verdi di Trieste

Da molti anni il Verdi di Trieste svolge una meritoria azione di decentramento, proponendo nei principali teatri della regione alcuno dei titoli del suo cartellone.

Il primo è stato ‘La Traviata’ di cui già abbiamo riferito in questa pagina, ma rispetto a quanto previsto c’è stata una entrata in corsa eccellente: all’improvviso, tanto che nel programma dello spettacolo scaricabile dal sito non  è stato neanche inserito il nome, il tenore previsto è stato sostituito da Francesco Demuro, una delle voci più interessanti del panorama internazionale.

Una sorpresa felice, che  consente a questo cantante, che probabilmente ha accettato la proposta anche per l’amicizia che lo lega alla direttrice artistica Fiorenza Cedolins con cui debuttò nel 2007, di ritornare ad Udine dopo il trionfale successo del concerto dello scorso anno.

Demuro, reduce dal ‘ Werther’ ed in procinto di affrontare ‘Stabat mater’ a Santa Cecilia, ha  saputo inserirsi con bravura nel cast rodato di questo spettacolo, proponendo un Alfredo elegante, signorile nei modi, sicuro nell’emissione.

Di grande presa le  mezzevoci, raffinate e mai pura esibizione, così come sono stati solidi e d’effetto gli acuti.

Il suo Alfredo è un giovane uomo, più innamorato che baldanzoso, più ferito che iroso.

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Dario Zampa ed Angelo Floramo raccontano il loro Friuli nella stagione dell’Ert FVG

 

‘La vie’,  è  uno spettacolo in friulano,  una delle lingue minoritarie riconosciute dallo stato italiano, che l’Ert ha inserito nella programmazione di diversi teatri della sua rete.

Va fatta una premessa importante: lo spettacolo nasce per celebrare i cinquanta anni dall’esordio discografico di  Dario Zampa, primo cantautore in lingua friulana.

La sua figura è decisamente rilevante per la storia della regione: nell’immediato dopoterremoto le sue canzoni divennero un manifesto del bisogno di difendere la propria identità culturale, di non perdere, fra i muri feriti e le strade devastate, anche il diritto  a tutelare una storia millenaria, a non vedere strappate le radici, oltre che le case.

Se dopo l’alluvione in Emilia si è cantata ‘Romagna Mia’ con commozione,  i muratori che cercavano di rattoppare gli edifici nell’estate friulana del 1976, mandavano a manetta le radio locali che trasmettevano i brani di questo cantante che parlavano di storie di una quotidianità interrotta, invitavano  a credere nelle proprie forze, raccontavano di tante difficoltà superate negli anni dal popolo friulano, soprattutto utilizzavano la lingua friulana per una comunicazione fino a quel momento inedita.

La potenza di quei brani era la narrazione immediata, la capacità di cogliere  il gusto popolare nel senso più alto del termine. Su una struttura musicale lineare, spesso dalla strumentazione ridotta, Zampa riusciva a dare voce, con una garbata vena poetica che alle volte toccava realmente il cuore, al sentimento più autentico della gente comune.

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Recensione dello Spettacolo Dioggene al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 27 novembre all’ 08 dicembre 2024 

Dioggene, volutamente scritto con la g rafforzata del dialetto romano, è lo spettacolo di esordio in teatro di Giacomo Battiato, regista e sceneggiatore classe ’43 e una carriera televisiva e cinematografica pluripremiata.  Uno spettacolo che, nelle parole dell’autore, è allo stesso tempo epico e grottesco, dolce e feroce. Partendo  dal 1200 per arrivare ai nostri giorni, tre quadri che attraversano epoche e atmosfere diverse, Battiato  evidenzia come ogni tempo storico in fin dei conti si ripeta e le tematiche, ricorrenti e sempre uguali, assumano inevitabilmente un carattere tristemente attuale: la stupidità umana; la violenza, declinata in ogni  sua forma, dal conflitto genitore-figlio, alla violenza di genere, alla penosa e straziante brutalità della guerra; e, infine, il bisogno disperato e incessante di bellezza e amore (dal latino a-mors: senza morte), unica vera  possibilità di riscatto e accesso privilegiato e diretto a un livello di esplorazione e maturazione dell’io, per ritrovare un senso della coscienza, personale e sociale, morale ed etica. In scena sul palcoscenico dell’Ambra  Jovinelli, dal 27 novembre e fino all’8 dicembre e poi ancora in tournee in altre città italiane, Dioggene è, in  fine dei conti, una storia d’amore. Scritto e recitato in italiano del ‘200 nel primo atto e narrato nel terzo  quadro in romanesco, antico e moderno si mescolano per portare, oltre ogni bruttura e meschinità che la  vita presenta, un messaggio di speranza. Di questo messaggio si fa portavoce Stefano Fresi, volto noto e  amato del piccolo e del grande schermo, a cui Giacomo Battiato dedica e affida la sua opera, protagonista  assoluto di un monologo di novanta minuti, senza intervalli ad eccezione di una breve pausa per il cambio  scena. Nei panni di Nemesio Rea, il personaggio attorno al quale ruota tutta la messa in scena, Fresi si  confronta con un testo complesso, scritto in tre registri e lingue diversi e pregno di concetti e rimandi; una  prova di memoria e di coraggio, una sfida che accoglie con grinta e un’indiscutibile bravura e professionalità e che restituisce al pubblico con commovente generosità e passione. Calato il sipario, accompagnato in ogni  atto da una scenografia essenziale, capace di identificare in maniera chiara ognuno dei distinti momenti  descritti nei tre quadri, Fresi appare come un vero e proprio mattatore: dal primo atto, Historia de Oddi 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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