Martedì, 14 Maggio 2024
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Netflix, La vita bugiarda degli adulti: la secolare storia del rito di passaggio

Recensione della serie tv La vita bugiarda degli adulti, disponibile on demand su Netflix 

 

Chiunque descriva la crescita, quella dell’essere umano, come un cambiamento spontaneo, naturale, fatto di fiori e idilli, di dolci e tenui disvelamenti progressivi, non è mai cresciuto davvero. E se c’è una cosa che la recente serie Netflix la vita bugiarda degli adulti insegna, è proprio questa: che, nel divenire adulti, non c’è niente di educato.

Netflix l’aveva annunciata ormai più di due anni fa, l’altra serie che sarebbe stata tratta dall’ultimo romanzo di Elena Ferrante, dopo il successo planetario de L’amica geniale. “La vita bugiarda degli adulti” è uscita nei primi giorni di Gennaio 2023 e, tra gli sceneggiatori, ha alcuni degli stessi nomi della serie precedente: Francesco Piccoli, Laura Paolucci e la stessa Elena Ferrante. Nel cast, Giordana Marengo, la nostra Giovanna dagli occhi d’acqua, Valeria Golino, nei panni della pungente e inquietante- nel senso più puro, che inquieta, che mette in moto l’animo- zia nascosta della protagonista, Alessandro Preziosi, Pina Turco ed altri nomi, più o meno celebri.

Un breve accenno alla trama: Giovanna, famiglia bene di una Napoli altolocata negli anni Novanta, vive nel migliore dei mondi possibili. Una famiglia benpensante di intellettuali retta dalla divinità paterna, puntellata da un altrettanto rosea coppia di zii, con due cugine. Ma basta cambiare la prospettiva di un solo millimetro per accorgersi che dietro la scintillante patina d’oro del suo mondo si nasconde una superficie “opaca come i vetri dei cessi”, citando la stessa serie. Una zia occultata, la vergogna di un mondo altro, polvere da mettere sotto il tappeto. Il velo di Maya si squarcia, la realtà si libra dai dettagli, da piccoli gesti prima non visti, da caviglie che si sfiorano sotto il tavolo: Giovanna ora vede. E vedere vuol dire crescere. E nella crescita tutto è sporco e maleodorante.

Quella che la Ferrante racconta è di per certo una storia vista e rivista, quella del rito di passaggio, dell’età del malessere, per citare Dacia Maraini. La nostra letteratura, la filmografia, sempre più serie televisive pullulano di immagini di adolescenti, più o meno contriti, più o meno brutti, più o meno cattivi. E tutti bramano la metamorfosi, la sentono arrivare, la temono. Ma Giovanna somiglia in particolar modo ad uno dei ragazzi più celebri della lettura del Novecento: quell’Agostino moraviano che, in una borghese estate in Versilia, scopre che la madre ha un sesso, scopre l’odore sporco del denaro, scopre la differenza della classe sociale. La maturazione di Agostino avviene tramite queste due categorie, denaro e sesso, la chiave per la vita adulta. E Giovanna gli somiglia; scopre il sesso, e lo scopre di fretta, come uno strumento di ripicca, di potere, di sottomissione. Scopre allo stesso modo il denaro: quando chiede al padre quale sia il suo scopo, il suo valore, il padre tace. La macchina da presa risponde per lui: inquadra le banconote che, quasi in maniera sprezzante, l’uomo lascia al tavolo del bar.

È vero, sicuramente la serie tende a parlare molto tra le righe, affidando al simbolo e al non detto. Si spiega in quest’ottica il simbolo del bracciale, che tiene in sé le redini della storia: il bracciale viene nascosto, rubato, trasformato, dimenticato. La sua sorte è quella della verità: nascosta, rubata, trasformata, dimenticata. Fortemente allusiva una delle scene finali di maggior segno: poggiata schiena al muro con Vittoria, sua zia, sorella di suo padre, colei che le ha aperto le porte dell’adultità, Giovanna le prende la sigaretta e se la porta alla bocca. Chi abbia guardato fino a questo punto in maniera attenta la serie, si renderà conto di cosa il gesto significhi; zia Vittoria viene ritratta quasi sempre con una sigaretta, che tiene tra due dita. Giovanna, all’inizio della prima puntata, viene presentata come sempre più somigliante in viso a questo personaggio che la famiglia da rivista tenta di passare sotto silenzio. Non a caso la frase viene sussurrata con una certa apprensione. Quasi alla fine della serie, al termine del suo percorso di crescita, Giovanna può finalmente prendere quella sigaretta di zia Vittoria, può essere lei, diventare lei, l’adulta che ha scelto di essere, in opposizione ai suoi genitori. Come, del resto, quasi tutti i ragazzi.  

La fotografia ha toni piuttosto cupi, come se i colori non vibrassero: nonostante le inquadrature di ampio respiro sul mare, sul cielo, sulla città di Venezia e di Napoli, sembra si voglia tendere quasi al pastello. Sono pochi i colori che colpiscono, e li indossa tutti Vittoria: la gonna blu elettrico, il nero lucido dei tacchi, gli ombretti sgargianti, i capelli rossicci. Comune ma mai banalizzata la scelta di raccontare alcune scene concentrando i tagli solo sui dettagli, rivelatori per chi guarda molto più dell’interezza. Singolare anche la scelta della musica che accompagna la narrazione, anche per lunghi tratti: si prediligono tracce di cantautorato anni Novanta, così come anni Novanta sono i costumi e i tagli, come il mullet della protagonista, di recente tornato di moda.

Sulla serie, c’è chi dice che questa sia una narrazione eccessivamente intellettualistica, che distrugge la delicatezza del libro: i contrasti diventano esasperati, la narrazione troppo simbolica, alle volte persino banale. E forse, verrebbe da dire, sono gli stessi che si sarebbero aspettati un raccontino a lieto fine, non troppo perturbante? Ma la scelta è stata quella di essere realisti.

 

Serena Garofalo

10 gennaio 2023

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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