Recensione dello spettacolo ‘Quello che non ho’ in scena al Teatro Brancaccio dal 31 gennaio al 4 febbraio 2018
È un brutale ma quanto mai veritiero affresco dell’attuale Italia quello che Neri Marcorè propone in scena nel suo nuovo spettacolo ‘Quello che non ho’. Il titolo, che prende i versi di una nota canzone di Fabrizio De Andrè, è già foriero di ciò che ci si può aspettare dall’attore sul palco: fin dalle prime parole, lo spettatore viene catapultato tra le atmosfere e le musiche di Fabrizio De Andrè, che si fondono ‘magicamente’ con gli ‘Scritti corsari’ di Pasolini al punto che musica e testo sembrano essere stati composti dalla stessa persona.
È proprio su questo punto che Marcorè ‘gioca’: a distanza di diversi anni tra loro, i due profetici artisti e intellettuali riescono a leggere, interpretare e restituire al pubblico un’Italia che si rivela essere, oggi più di allora, malata e da salvare. Scandagliando con mente lucida la realtà odierna, Marcorè si rende così fautore di una denuncia forte e decisamente cruda della società in cui viviamo, restituendone uno spaccato che affligge e spaventa e che dovrebbe istigare quella ‘rabbia’ che lo stesso Pasolini aveva già alimentato nell’omonimo documentario.
Riprendendo e facendo sua la forma del teatro canzone, il poliedrico artista sbatte in faccia al pubblico la pura e semplice verità sotto forma di notizie shock che lascia esplodere come bombe tra una canzone e una riflessione, sconcertando forse il pubblico e cercando di aprire gli occhi a chi non vuole vedere l’altra faccia del mondo in cui viviamo, quella in cui la fanno da padrone la superficialità, il consumismo, la prostituzione infantile, lo sfruttamento del lavoro minorile, i disastri ambientali, l’odio razziale, la mortalità infantile, i signori della guerra e la scandalosa realtà politica odierna. Calati e imprigionati in una società così decadente e deludente, non ci si dovrebbe stupire se ‘non si riesce più a volare’ come diceva De Andrè, eppure, per quanto questa realtà possa sembrare nera e oscura, una goccia di splendore si riesce a intravedere ancora in quelle lucciole che non sono morte, ma appaiono magicamente a illuminare la notte, emblema di una nuova speranza per quell’uomo per cui ‘è giunta l’ora di trasformarsi in contestazione vivente’.
Dopo aver portato in giro ‘Eretici e corsari’ e ‘Un certo signor G’, Marcorè torna a lavorare con il regista Giorgio Gallione, con il quale ha saputo creare anche questa volta uno spettacolo che non manca di coinvolgere da subito il pubblico: chiamando in causa due pietre miliari come De Andrè e Pasolini, Marcorè li usa come pretesto per esortare la platea a riflettere sui propri comportamenti verso l’ambiente e verso gli altri, e a porsi delle domande per comprendere i propri errori e come riuscire a migliorare se stessi poco per volta. In modo ironico e graffiante al tempo stesso, l’artista colpisce nel profondo la coscienza di ciascuno di noi affinché si smobiliti e agisca nel nome del bene comune.
Particolarmente indovinata la scelta degli arrangiamenti delle canzoni di De Andrè, a opera di Paolo Silvestri, ed eseguiti magistralmente non solo dallo stesso Marcorè, ma anche dai tre artisti che lo accompagnano sul palco, ovvero Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. Questo incredibile trio non solo dimostra raro talento nel passaggio dai cori a cappella ai virtuosismi vocali ma anche nell’alternare chitarre classiche a bassi riuscendo anche a dare il loro contributo recitativo mentre lo spettacolo si snoda in un ritmo serrato fatto di canzoni, versi e racconti. Ad aiutare a comunicare più efficacemente certi messaggi, contribuisce anche la scenografia curata da Guido Fiorato, che con pochi strumenti riesce a comunicare la desolazione della Terra consumata dall’uomo metafora di un’ancora più grande desolazione dell’animo umano.
Questo spettacolo è altamente consigliato a chi adora le note di Faber e non può far a meno di riflettere su se stesso e sull’umanità attraverso gli scritti di Pasolini.
Diana Della Mura
2 febbraio 2018