Sabato, 18 Maggio 2024
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Macbeth – Tra Lynch, soprannaturale e noir al Silvano Toti Globe Theatre di Roma si consuma la tragedia dell’ambizione

“La vita è solo un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un’ora sulla scena e poi cade nell’oblio: la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di foga, e che non significa nulla”. (William Shakespeare)

Le cupe atmosfere della Scozia shakespeariana si addensano e la fanno da padrone al Silvano Toti Globe Theatre che ha accolto sul proprio palcoscenico il Macbeth, una delle tragedie capolavoro più famose del drammaturgo inglese. Dallo scorso venerdì 15 settembre a domenica 1 ottobre (con le eccezioni del 18 settembre e del 25 settembre) la versione tradotta, adattata e diretta da Daniele Salvo guiderà e ammalierà gli spettatori all’interno delle innumerevoli sfaccettature del “mostro” Macbeth, tra bramosia di potere e cruente vicende che oscillano tra l’umano e il sovrumano.

 

Sangue, metallo e fango: questi gli elementi materiali attraverso i quali si forgia il “Macbeth” di Daniele Salvo e che costituiscono il mondo oscuro dell’animo umano. Creatrice e ispiratrice delle ambigue scene, sapientemente portate sul palco in un’ambientazione in stile Lynch, come lo stesso regista ammette, è la notte: il buio, infatti, assurge a personaggio e, come calato su tutti e tutto, condiziona, confonde, distrae e prende pieno possesso anche degli altri protagonisti.  Come un’ombra che cammina attraverso le tortuose vie della vita così nel tetro contorcersi dell’animo umano si svela la realtà instabile che, illusione e ambigua ricerca del successo a tutti i costi, si dipana tra ciò che appare e ciò che è, tra quel che sembra e quello che in poi sarà.

Archetipo e paradigma della cieca ambizione e della smania di potere che armano l'insaziabile vendetta, il Macbeth oggi, più di 400 anni dopo dalla sua stesura, torna ad essere quell’uomo stritolato da e nell'ingranaggio della storia che, interrogandosi sul senso della vita e sul proprio destino, cerca di ritrovare la propria dimensione umana perduta e sviata, vittima e complice stesso della fragilità e della manipolazione messa in atto sia dai subliminali ed invitanti messaggi del fato che dalla cupidigia di una donna androgina. Come la maggior parte delle trame delle tragedie shakespeariane, la storia non è originale. L’autore, infatti, prese a modello le Chronicles of Scotland di Raphael Holinshed, adattandole al suo scopo: mostrare ciò che sarebbe successo in Inghilterra, dopo che Elisabetta I era morta senza lasciare eredi, se Giacomo I non fosse diventato re (nella tragedia, infatti, Giacomo I viene mostrato come diretto discendente di Banquo, uno dei personaggi). Temi fondamentali che ritornano spesso durante tutta l’opera sono: il potere, l’ambizione e soprattutto l’ambiguità. L’ambiguità, in particolare, non è solo presente nei personaggi principali (Macbeth, Lady Macbeth, le Sorelle Fatali), ma perfino nello stile; le due figure retoriche più utilizzate sono infatti l’ossimoro (l’uso, nella stessa frase di due termini contrastanti) e l’ironia (soprattutto tra ciò che Macbeth e sua moglie si aspettano dagli eventi e ciò che in realtà accade). In questa tragedia, infatti, spesso ciò che appare in realtà non è come sembra.

Anche nella versione di Salvo, fedelissima all’originale, i due protagonisti Macbeth (Giacinto Palmarini) e Lady Macbeth (Melania Giglio) danzano e duettano in questa oscurità dipinta e scagliata nello spazio scenico dalle tre sorelle, le ammalianti fatali streghe (Giulia Galiani, Francesca Maria e Silvia Pietta).

La tragedia si apre con l’apparizione delle Sorelle Fatali, appunto, una scelta tipicamente shakespeariana che, nel presentarle per prime, assume la funzione di mostrare immediatamente l’importanza del ruolo che esse rivestono nello svolgimento della tragedia. La loro apparizione è sottolineata dalla rima persistente del loro balletto infernale con il quale introducono il pubblico in un mondo che, fin dai primissimi versi, è connotato come estremamente ambiguo, un mondo in cui le cose ed i personaggi sono talmente indistinti che è impossibile capire cosa è buono e cosa non lo è.

Melania Giglio nel ruolo di Lady Macbeth, rappresenta alla perfezione il lato scuro di Macbeth, suo alter ego formidabile che attraverso la ritmata vocalità e gli aspri toni, oltre che le invasate espressioni, rende al meglio tutte le caratteristiche del ruolo, scuro, manipolatore e demoniaco. Azzardiamo: se “Bella, ma non classicamente” fu l'azzeccata descrizione che Piero Mioli fece per la voce della Callas (Lady Macbeth nella celebre versione di Verdi), diabolica, quasi ultraterrena e adatta a rappresentare una donna avida di potere e crudele senza dover camuffare un timbro metallico e stridulo in certi tratti, ma anche asettico e tagliente in altri, oltre che passionale e maleficamente sinuoso in altri, è quella che offriamo per la Giglio. Applausi che, inizialmente allineati con gli sguardi attoniti e interrogativi del pubblico, si sciolgono a cascata come elogio per la performance. Nella Lady Macbeth di Salvo c’è tutto di Shakespeare: la volontà di potere e di predominio che divora ogni cosa, la frantumazione in mille impazzite schegge di vetro acuminate dell’animo e della mente umana, l’ambiguità ossimorica che agisce come leit motiv dell’intera opera, la determinazione, la passione e i sentimenti estremi che condurranno, infine alla follia e, quindi, alla morte, emblema finale dell’umana natura che non può sopravvivere spavalda agli effetti delle azioni e si inginocchia sconfitta. A rendere ancora più terrificanti le atmosfere dell’opera, ci pensano i soliloqui della Lady. Essa conosce bene il mondo in cui vive, un mondo dominato dagli uomini, e si rende conto di dover far spazio in sé a qualità tradizionalmente mascoline per raggiungere il potere. Questa è la ragione per cui pronuncia la sua distorta “preghiera” agli spiriti (“That tend on mortal thoughts”), chiedendo loro di toglierle il sesso, tradizionalmente debole, di donna e trasformarla in un essere crudele, capace delle azioni più terribili. Infine lo spazio eterno in cui il tempo non esiste è il luogo dove si pone al momento del sonnambulismo della mente: Lady Macbeth, giunta all’estremo limite della ragione in lotta con i sentimenti è diventata ormai un oggetto da osservare ed ha perso ogni connotazione umana.

La vicenda dei due coniugi protagonisti è senza dubbio intrisa di uno spirito noir: a differenza della moglie, caratterizzata in tutte le sue sfaccettature che ricalcano il lato oscuro, Macbeth inizialmente appare forte e sicuro, per poi essere attanagliato da incubi e visioni. Tormentato e tentato dalla sublimazione moderna di una novella Eva, egli sprofonda nelle sue stesse fragilità, non riuscendo a mantenere quella fredda e impassibile apparenza che, quasi per tutta l’opera, moglie.

Ecco quindi, nell’iniziale escalation di tentazione e bramosia, all’interno di quella miccia che accende il complotto, che Macbeth, convinto e spinto all’effimera gloria dal fato e dalla mano fatale della compagna, compie il delitto del re Duncan (Carlo Valli), bianca e candida incarnazione del bene: emblematico è il parallelo con il Cristo in una rivisitazione vivente e animata dell’ultima cena di Leonardo, cui intorno siedono i commensali.

Lo spettacolo – corredato da intriganti e spettacolari effetti scenici - rivela la potenza di questa tragedia senza età che si snoda tra insidie, paure, desideri e rimorsi che flagellano l’animo umano fino a ridurlo a un involucro freddo e vuoto in una notte perenne. Non c’è speranza, né grazia in questa “fiaba marcita” come viene chiamata dal regista. E in un’atmosfera buia e inquietante il pubblico rimane, anche oggi, turbato di fronte al dramma della fragilità umana. La scenografia, cui concorrono le luci, le musiche, i costumi, i suoni, l’uso della voce, perfino i movimenti e i versi di Lady Macbeth insieme alle sue vesti, sono un godimento per la vista e l’udito.

Infine, a conferma dell’importanza delle atmosfere cupe e appositamente rese tetre da personaggi e costumi, ecco le parole del regista che così presenta il suo lavoro:

 “Vorrei che questo lavoro avesse le caratteristiche dell’allucinazione, dell’incubo, della “fiaba marcita”: il registro onirico è fondamentale nel testo ed è necessario costruire una realtà scenica regolata dalle leggi del sogno e del sonno. Nella notte tutto può accadere. Si imboccano vie sconosciute, si frequentano esseri ambigui, si può essere circuiti da strani animali, creature “manganelliane” sconosciute ai più ed è facilissimo ritrovarsi in situazioni illogiche ed impossibili. Vorrei che l’atmosfera fosse quella di un film di David Lynch. La stessa densità di immaginario: le vie colme di nebbia, le case abbandonate e dimenticate, le ombre affamate di potere, i suoni ambigui ed inquietanti. Macbeth è una storia di lotte di potere tra élite. Il corporativismo, la massoneria, il familismo, le lotte per l’assegnazione delle cariche pubbliche sono all’ordine del giorno. Il tema del testo è dunque fortemente politico” - Daniele Salvo.

 

Federico Cirillo

18 settembre 2017

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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