Sabato, 23 Novembre 2024
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Bella addormentata: il bacio che non risveglia

Recensione dello spettacolo "Bella addormentata"  di Alessio Manuali e Francesca Farcomeni con Francesca Farcomeni  regia di Alessio Manuali - in scena al teatro Trastevere dal 17 al 18 gennaio 2019

All’entrata in sala al teatro Trastevere, nella settimana dedicata da questi ai Tales of woman, in una  serata indecisa tra la pioggia e le stelle, il pubblico già trova in scena Francesca Farcomeni nei panni del suo personaggio Bella che dorme chissà da quanto e che sogna il suo principe azzurro.Vorrei solo essere baciata, ci dirà lei poco dopo. Bella rappresenta la parte più pura e delicata delle donne, quelle che trasformano in principi, nei loro principi, uomini troppo normali e anonimi, poco inclini alla bellezza delle favole: la protagonista verrà infatti ridestata non da un bacio ma dalla sua stessa ansia di farsi trovare pronta al bacio. Sono cento anni che aspetta di essere pronta, perchè a volte non basta una vita per maturare.

Sorprendenti e delicati l’entusiasmo e l’ingenuità fanciullesca di chi, digiuna di carezze ma assai matura di affetto e amore puro, vuole realizzare la propria favola, quella che ha sempre sognato. Il suo principe è una persona assolutamente noiosa e banale, da centro commerciale la domenica pomeriggio e da pizza surgelata a cena, che per sfuggire all’ansia del vuoto della mancanza di argomenti chiede alla sua Bella di raccontargli un po’ di lei. Ma questo lo sappiamo noi.

Una donna innamorata non vede la banalità di un uomo e la confonde con unicità e grandezza a tal punto da sentirsi quasi inadeguata rispetto a lui. Imparerà ad aspettare il ritorno di quell’uomo dai capelli turchini che si congeda mettendosi sempre le mani nelle tasche dell’impermeabile, e quando lei non lo vedrà arrivare si riaddormenterà, perchè nel sogno tutto diviene perfetto e l’amore ritorna favola. Ma il sonno spesso è rifugio dalla realtà, è uno stato che ti permette di non vedere ciò che realmente succede e rischia di durare in eterno se poi non hai nessuno che ti svegli. Si può sognare anche senza dormire rinnegando la realtà, perchè ognuno ha diritto di poter decidere sulla propria favola: per questo Bella leggendo la lettera di addio del suo principe, la reinterpreta convincendosi di averla letta al contrario e che le motivazioni dell’addio sono in realtà complimenti rivolti a lei che rinforzano ulteriormente il rapporto.

La nostra protagonista impersona tutte le donne che hanno aspettato troppo e che non hanno più voglia di dormire per poter trovare l’amore, perchè vogliono innamorarsi da sveglie. Molto potente è la fase dello spettacolo che  dal sogno - illusione conduce al disincanto. Bella ormai è sveglia, pretende a gran voce una storia e soprattutto non ha più sonno; ha capito che le favole, come i principi, non mantengono le promesse, non sempre finiscono bene e quasi mai trasformano i sogni in realtà. Sarà una Bella più matura e disillusa quella che invocherà al suo uomo il proprio bisogno di esistere nel qui ed ora: “Farò tutto quello che mi chiedi se mi darai una storia....Ho bisogno di una storia e che gli altri si ricordino di me”. Il terrore adesso è quello di sparire, di non essere vista, di non avere un presente. Il suo è un grido rivolto alla relazione ancor prima che al principe. È il legame, infatti, a salvare perchè solo attraverso l’altro sappiamo di esistere. 

Contrariamente alla struttura classica delle favole, il monologo sembra avere il lieto fine all’inizio, quando la bravura e la frizzantezza della Farcomeni, straordiariamente comunicativa nel corpo e nella parola, donano fisicità ad una drammaturgia già fisiologicamente ricca di spunti interessanti. La fase dell’illusione e dell’incanto dove soma e verbo si inseguono con armonia e leggerezza presto lascerà il posto ad una espressività più densa, meno incline al sorriso e dove le singole parole e gesti diventano metafore di concetti più sofferti di cui a stento trattengono l’energia. La regia di Alessio Manuali è sembrata muoversi sul registro della semplicità assecondando fedelmente la venatura emotiva della drammaturgia, alternando lentezza e accelerazioni alla recitazione.

La scenografia piuttosto  essenziale e austera (una sedia bianca e una rossa) sembra anch’essa frutto di una scelta registica orientata a restituire allo spettatore la tonalità emotiva originale, evitando che restasse impigliata in qualche elemento di arredo. Il testo, opera della stessa Farcomeni e Alessio Manuali, privo di passaggi interlocutori e caratterizato da una natura densa di significato e riferimenti simbolici, è risultato particolarmente prezioso. Tuttavia la stessa scrittura, in virtù delle sopracitate prerogative, ha rischiato a volte di non essere immediatamente decifrabile, costringendo il pubblico, decisamente entusiasta ed appagato, ad un lavoro supplementare di interpretazione. 

 

Simone Marcari

19 gennaio 2019

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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