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Non è vero ma ci credo: Superstizione e scaramanzie di scena al Flaiano

Recensione dello spettacolo Non è vero ma ci credo in scena al Teatro Flaiano dal 26 dicembre al 10 febbraio 2019

 

Quante volte è capitato di esitare il proprio passo davanti un gatto nero sussurrando, quasi a volersi giustificare, “Non è vero...però ci credo”?!

Ed è proprio il tema della superstizione ad essere protagonista della commedia di Peppino De Filippo, fratello del grande Eduardo.

Gervasio Savastano (interpretato da Antonello Avallone), commendatore profondamente superstizioso e convinto che con riti scaramantici si possa sconfiggere la sfortuna, incarna perfettamente la fragilità umana. La “jettura” si è accanita su di lui: gli affari vanno male ed anche in famiglia le cose non sembrano andare meglio. Infatti, la figlia Rosina (Mihaela Irina Dorlan) si è invaghita, ricambiata, di un giovane impiegato, malvisto dal commendatore che aspira per la figlia ben altri pretendenti.

Di fronte ai piccoli drammi quotidiani di Savastano, lo spettatore non può non nutrire un simpatico affetto e tifare per il povero commendatore, le cui sciagure sono più o meno le stesse  vissute da ognuno di noi.

Tuttavia, la superstizione di Gervasio è talmente radicata che induce il protagonista a credere che un suo dipendente, Belisario Malvurio (Giuseppe Tradico), sia il fulcro dei suoi mali e a indurlo a licenziarlo, sperando, in tal modo, di allontanare del tutto la sfortuna. 

Tutto sembra irrimediabilmente andare in rovina, quando entra in scena Alberto Sammaria (Federico Antonucci): un giovane con una gobba che, grazie ad una serie di eventi “fortunati”, diventa per il caro Gervasio un vero e proprio portafortuna vivente. Ormai, il protagonista può dormire sogni tranquilli!

Eppure, lo spettro della sfortuna si affaccia nuovamente: Sammaria, invaghitosi della dolce Rosina, ha deciso di lasciare il lavoro. Gervasio non può permettere che venga abbandonato dal suo portafortuna! Cosa fare? Persuadere Rosina a sposare il giovane gobbo. 

L'ultima parte dello spettacolo, che si compone di tre atti, si apre proprio con il matrimonio tra i due giovani. Tutti gli invitati partecipano entusiasti alle nozze dei due ragazzi, tranne Gervasio. Egli si sente in colpa per aver “rovinato” la vita della figlia, inducendola a sposare, per puro egoismo, un uomo deforme.

A volte l'eccessiva superstizione può condizionare non solo la vita di chi ne è profondamente convinto, ma anche dei suoi cari. È l'amara conclusione a cui giunge Gervasio, assalito dai sensi di colpa a seguito di un sogno premonitore. Il commendatore fa di tutto per sciogliere il matrimonio ma rimane sorpreso nello scoprire di essere stato raggirato proprio dai suoi cari, che usano la sua superstizione per fargli accettare l'amore di Rosina. Sammaria, infatti, altri non è che il giovane amato dalla figlia e la gobba un arteficio escogitato per entrare nelle grazie del commendatore.

Antonello Avallone riprende la regia di Luigi De Filippo, figlio di Peppino scomparso a marzo del 2018, e mette in scena una commedia coinvolgente dove, non puoi non sentirti partecipe di ciò che  accade sul palco.

Non sono mancati momenti in cui in platea si è avvertita complicità verso il protagonista per le sue vicende: si è riso ai suoi riti scaramantici, tra cui strofinare ripetutamente la gobba di Sammaria come se fosse una sfera magica. E con altrettanta tenerezza, si è vissuto il suo tormento quando, dopo aver sognato innumerevoli nipotini gobbi, prova in tutti i modi ad annullare un matrimonio che, a suo pensare, non sarebbe stato felice.

Il bello della commedia sta proprio nel riflettere con ironia su temi seri come la superstizione e la scaramanzia che, quando sono esagerate, condizionano la vita di ciascuno.

Ed è proprio questo aspetto che Avallone, nei panni di Gervasio, ha voluto far emergere: estremizzando in modo poetico le piccole manie di cui ognuno di noi è afflitto. Lo spettatore, immedesimatosi nel protagonista, viene indotto ad analizzare le sue piccole scaramanzie per quello che sono. La superstizione, infatti, è dovuta alla credulità umana che inevitabilmente ha bisogno di affidarsi a qualcosa piuttosto che attingere da sé quella sicurezza che crede di non avere, ma che in realtà possiede.

 

Carmen De Sena

19 gennaio 2019

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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